Donne nella Storia

I diritti delle donne nel secolo dei Lumi: il periodo della reggenza e la Rivoluzione francese

di Giulia Bordonali / pubblicato il 3 Gennaio 2016

Il ‘700 e l’illuminismo: nascita di una nuova corrente di idee

E’ arduo parlare di un qualsiasi evento legato al XVIII° secolo senza menzionare lesLumières, l’Illuminismo. Sulle definizioni proprie del termine, già i contemporanei avevano avviato un dibattito: per Kant era “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso”1, per Mendelhsson un processo di educazione dell’uomo all’uso della ragione. Se ne ricava che certamente il termine “Illuminismo” è di difficile definizione. Si potrebbe semplicisticamente affermare che l’Illuminismo non fosse altro che il desiderio di alcuni intellettuali di vedere le azioni umane guidate non più, come in passato, dalla religione o dalla superstizione e quindi come nascita di un nuova corrente di pensiero, basata sull’uso della ragione. In seguito a studi a noi più vicini cronologicamente (negli anni settanta), è stato possibile determinare il carattere delle Lumières2come non claustrofobicamente circoscritte alla stretta cerchia degli intellettuali settecenteschi, quanto piuttosto come un modo per diffondere e utilizzare le idee di cui lo stesso Illuminismo si presentava come tramite.

Con questa visione più ampia del fenomeno che non lo vede spezzato in  piccoli microcosmi,  ma piuttosto come varie sfaccettature di un flusso di pensiero unitario, si può più facilmente cogliere la vera natura dell’Illuminismo, quella cioè di un movimento di idee e dibattiti tipico del modo in cui nel  secolo XVIII si concepivano politica, società e perfino le idee stesse.

Le donne e l’illuminismo

La teorizzazione dell’identità sessuale femminile e della femminilità furono tema di ampio dibattito da parte degli illuministi: un dibattito che dimostrava al suo interno parecchie incoerenze. Infatti, medici e scienziati si impegnavano a fornire un ritratto della donna come inferiore all’uomo in ragione di una serie di differenze dovute alla Natura stessa e pertanto giuste ed inevitabili, si tendeva inoltre ad esaltare la donna come madre e le si attribuiva il ruolo di custode della moralità e della religione in ambito domestico.

Tutto ciò appare alquanto sorprendente se si pensa che l’uomo settecentesco di idee illuministe ambiva ad evidenziare la propria individualità, sia in campo politico che economico, mentre al tempo stesso rifiutava alle donne lo status di individui a pieno titolo.

Antesignana del femminismo e prima ad evidenziare le ambiguità e le incoerenze del pensiero illuminista fu Mary Wollstonecraft, la quale sosteneva che vedere la figura femminile relegata ad un ruolo esclusivamente domestico non significava altro che continuare a perpetrare su alcuni soggetti come le donne e gli schiavi  il sistema dei privilegi che tanto si biasimava nella  monarchia, nell’aristocrazia e nei proprietari terrieri. Wollstonecraft affermava altresì che il pensiero illuminista si fondava sulla ragione, e che tale stato era in linea teorica raggiungibile da tutti gli esseri umani. Secondo l’autrice era infatti ingiusto escludere il sesso femminile in toto dal campo della razionalità (come sosteneva tra gli altri anche Rousseau) per relegarlo meramente a sostenere la “virtù” della pudicizia in ambito sessuale; questo rischiava, secondo Wollstonecraft, di compromettere lo sviluppo e l’evoluzione stessa dell’Illuminismo, poiché se le donne erano considerate prive di razionalità, allora le si poteva ascrivere agli animali, escludendole da un qualsiasi tipo di ambito sociale, mentre se erano dotate come gli uomini di ragione, allora avevano il diritto di partecipare al tipo di vita intellettuale riservata al sesso maschile, anche perché la scrittrice inglese considerava illogico il progetto universalistico illuminista di emancipazione universale attraverso virtù e ragione, se tanta parte degli intellettuali riteneva il sesso femminile privo dell’una e dell’altra3.

Si presentava dunque una curiosa equazione che vedeva nel sesso maschile l’emblema della razionalità e in quello femminile l’esemplificazione di “Natura”. Dorinda Outram afferma che nel XVIII secolo il termine “Natura” era utilizzato dagli intellettuali illuministi come Rousseau per definire numerosi concetti: si poteva interpretare il termine “naturale” come “giusto”, oppure “socialmente indefinito”, “non artificiale”4. Era dunque una parola portatrice di significati ambivalenti ed ambigui.

L’identificazione donna-natura era quindi in un certo senso pericolosa, perché poneva l’universo femminile in una sorta di naturale sottomissione, anche dal punto di vista biologico ed anatomico. La natura è un qualcosa che gli esseri umani hanno piegato e conformato a loro uso e secondo le loro regole per poi dominarla; considerare le donne più vicine alla “Natura” alludeva quindi all’emotività e alla credulità tipicamente “femminili” che impedivano alle donne, secondo gli intellettuali illuministi, di fare un corretto uso della ragione oggettiva; vi era tuttavia anche l’altro lato della medaglia che vedeva l’universo femminile privo della contraffazione e dell’artificialità della società che avrebbe permesso l’evoluzione sociale in senso moderno.

Piuttosto che in accezione positiva, Outram ritiene che gli intellettuali giocassero molto sull’ambiguità della “natura” femminile, identificandola come “altro”, ciò che deve essere definito piuttosto che ciò la cui natura è ovvia e giusta”5.

In aggiunta alle riflessioni filosofiche, nel corso del XVIII secolo,l’evoluzione negli studi di medicina portò a rimarcare le differenze fisiche tra uomo e donna oltre che negli organi riproduttivi, anche nello scheletro e nel sistema nervoso,  che provarono che il cervello femminile era in effetti di dimensioni inferiori rispetto a quello maschile, rinfocolando così le idee di molti intellettuali (tra i quali Rousseau) sulla scarsezza dell’intelletto femminile nelle questioni razionali ed astratte, relegando il genere femminile al mero ruolo di moglie e madre. Anche le emozioni e le passioni, filtrate attraverso la lente della filosofia cartesiana, erano ritenute non un prodotto della mente ma dei sensi, provocate dalle sensazioni create dagli effluvi esterni e condotte attraverso i nervi non al cuore,  ma al cervello. Le emozioni sensibili quindi si spostavano dall’anima al corpo nel quale operano i sensi. Nel Settecento molti trattati medici furono dedicati al mauxdesnerves, male tipico delle donne legato, secondo le concezioni di allora, alle loro funzioni riproduttive6.Comunque i testi medici erano appannaggio di una élite, l’uomo medio settecentesco aveva nozioni sulla mascolinità e sulla femminilità che rispecchiavano la consuetudine. Ciò che realmente innescò l’evoluzione sociale femminile fu probabilmente lo svilupparsi dell’industrializzazione. Con l’apertura praticamente globale dei mercati, era indispensabile che la donna, fulcro per eccellenza dello spazio domestico, occupasse quel ruolo per consumare i prodotti che l’industrializzazione produceva.

E’ vero quindi che l’idea della donna come figura imprescindibile all’interno dello spazio domestico è precedente l’Illuminismo, ma esso rafforzò quest’idea, adducendo le ragioni illustrate nei testi di medicina, relegando le donne, considerate di natura più emotive e arrendevoli, al ruolo di sposa e madre devota, ruolo che fu supportato da molti scrittori settecenteschi.

Le donne e i salotti letterari

Istituzione intellettuale caratteristica dell’Illuminismo era il salotto letterario, cioè una forma di associazione figlia diretta della vita di corte del XVII secolo. Le dame altolocate avevano cominciato a radunare intorno a sé altre donne (spesso di rango inferiore) per incoraggiarle a migliorare la loro cultura. Nei salotti si recitavano poemi, si tenevano discussioni letterarie, si dibatteva su di un argomento scelto specificatamente dalla padrona di casa, o si esponevano anticipatamente al pubblico opere teatrali. Presentare la propria opera in un salotto era un passo molto importante per l’autore: corrispondeva ad avere l’equivalente della pubblicazione.

Nei salotti letterari la donna era il fulcro dell’intera istituzione; la padrona di casa metteva a disposizione gli spazi necessari alle riunioni, sceglieva gli ospiti, pagava per il loro intrattenimento e componeva l’agenda degli incontri. A ciò si aggiunga che spesso gli ospiti del salotto erano di rango sociale inferiore rispetto alla padrona di casa che, aprendo loro le porte della sua nobile magione, contribuiva sensibilmente ad elevarli sul piano sociale, avallando in qualche modo la loro produzione letteraria ed intellettuale.

Marie duDeffand

Marie duDeffand

Nel XVIII secolo si riscontra una sorta di evoluzione nella cultura dei salotti che, da invenzione principalmente aristocratica, gestita come si è visto da signore appartenenti alle alte gerarchie della nobiltà di sangue, diventa appannaggio di un nuovo tipo di donna, come ad esempio la celebre Madame duDeffand (1696-1780), di nobili origini sì, ma famosa in tutta Parigi per essere diventata, giovanissima e fresca di separazione col marito, l’amante del reggente Philippe d’Orléans. La stessa Madame duDeffand in seguito ne parlò  con ironia, definendolo un amore di quindici giorni tra due persone  che tentavano di sfuggire alla noia7.

Nonostante questi mutamenti, i compiti della padrona di casa rimasero pressappoco gli stessi del secolo precedente; i salotti però si arricchirono attraverso l’accesso di una nuova classe sociale non soltanto costituita dall’élite cortigiana, ma anche da piccoli funzionari statali, da persone esercitanti la professione legale e da intellettuali. Per queste persone l’ambiente dei salotti aveva una duplice valenza positiva: da una parte potevano leggere pubblicamente e discutere le loro opere davanti ad un pubblico, dall’altra potevano sperare che qualche ricco signore tra i presenti accettasse di diventare loro mecenate. Vista la loro importanza nel quadro intellettuale e sociale dell’epoca, è legittimo domandarsi perché proprio le donne, considerate come si è visto dalla cultura illuminista come inferiori all’uomo, conservassero una funzione di primo piano nell’organizzazione dei salotti. Secondo Outramla risposta va cercata nei modi in cui il ruolo femminile è stato definito nel Settecento, vale a dire in un senso molto più ampio del semplice ambito riproduttivo; le donne avevano un ruolo organizzativo e di ispirazione dell’agire maschile e, attraverso i salotti, si intrattenevano rapporti proficui alle carriere pubbliche dei membri della famiglia e si intessevano relazioni sociali che potevano tornare loro utili. Inoltre nel XVIII secolo a differenza del secolo precedente, molte donne si dedicavano alla letteratura e l’ambiente dei salotti unito alla  loro figura di padrona di casa, le metteva in condizione di essere a contatto di una vasta cerchia di intellettuali e letterati e di conseguenza con un tipo di cultura che altrimenti sarebbe stata loro preclusa in quanto donne.

Gli intellettuali stessi che frequentavano i salotti avevano opinioni diversissime riguardo al ruolo occupato dalle donne in queste istituzioni e sulla natura delle donne in generale. Rousseau si scagliò con violenza contro il controllo femminile sui salotti, asserendo che poiché il sesso femminile è dominato da un ruolo sessuale e riproduttivo, allora il fatto che le donne controllassero un’istituzione sociale equivaleva a dire che quest’ultima era asservita alla corruzione sessuale. Non tutti però condividevano il suo punto di vista. Voltaire affermò che le donne sono capaci di tutto quello di cui sono capaci gli uomini; più o meno della stessa idea era Diderot, mentre Montesquieu affermò che il ruolo della donna non poteva riassumersi nell’essere madre, cosa che non costituiva altro che una parte della vita. 8

Le padrone e le frequentatrici dei salotti: madame duDeffand e mademoiselle Aisse

E’ a mio parere significativo, dopo aver parlato dell’ambiente del salotto letterario e dell’importanza che le donne vi occupavano, portare due esempi di donne diversissime per origini ed estrazione sociale, che con quello stesso spazio interagirono, per meglio esemplificare la reale situazione sociale (e in una certa misura anche politica) della donna nel Settecento e per vedere fin dove esse potessero davvero esercitare potere decisionale sulla loro vita e nella società in generale.

Madame duDeffand, nata Marie Vichy-Champrond era nata il 25 settembre 1696 nel castello di famiglia nell’attuale regione Saone-et-Loire da una delle casate più antiche ed importanti della regione. Assai giovane fu inviata dal padre, secondo le consuetudini del tempo, in un collegio femminile di Parigi perché “è il posto dove bisogna allevare le ragazze”9.La permanenza lascerà alla futura Madame duDeffand un sentimento di rancore nei confronti dell’educazione tradizionale femminile: “Esiliate dalla casa paterna fin dalla nascita, sono allevate in istituti religiosi dove (…) non è loro impartita una sola idea giusta riguardante i doveri, la virtù, l’onore, la decenza, il mondo (…). Imbevute di quei principi, si trovano all’uscita del convento tra le braccia di uno sconosciuto al quale, come apprendono in quello stesso momento, il loro destino sarà legato da vincoli eterni e indissolubili”10. Tale fu anche il destino di Marie, sposatasi nel 1718 col marchese duDeffand. Tuttavia la giovane apprese presto come servirsi dei vantaggi che il matrimonio le aveva portato: l’inizio della vita nella società, l’emancipazione dall’autoritario padre e la liberazione dal senso di ennui che la campagna le procurava. Questo suo amore per Parigi e la vita sociale furono causa di contrasto col più riservato marito e finirono per portare ad una separazione di fatto e senza clamore.

Madame duDeffand entrò nella cerchia del Reggente diventandone l’amante e legandosi alla favorita di questi, Madame d’Averne; sperimentò tutti gli eccessi della corte di Philippe d’Orléans mettendo a repentaglio la propria rispettabilità e creandosi una reputazione di libertina. Riuscì  poi ad ottenere dal Reggente grazie ai suoi intrighi un vitalizio di seimila franchi ma la sua ascesa fu bruscamente interrotta dalla morte di Philippe d’Orleans nel 1723. Priva dell’appoggio del marito,  in una situazione economica precaria e con una reputazione di spregiudicatezza alle spalle, Madame duDeffand si fece strada unicamente con la propria intelligenza, allacciando relazioni con i Tencin, i Ferriol e i Bolingbroke. Dopo un vano tentativo di riconciliazione col marito la marchesa cercò e trovò sostegno in una vecchia conoscenza degli anni della Reggenza: il président Hénault.

Da poco vedovo, benestante e con una discreta posizione sociale assicuratagli da un incarico giuridico il président rappresentava per la marchesa il compagno ideale per costituire un sodalizio mondano.

Tramite la relazione di comodo con Hénault, Madame duDeffand potè avere accesso alla celeberrima corte di Sceaux, dove si conquisterà i favori della padrona di casa, la duchessa del Maine e si legherà in amicizia con Madame de Staal.

La corte di Sceaux era celebre per la sua opulenza e la sua stravaganza ed era frequentata dai grandi intellettuali dell’epoca, tra i quali Voltaire, Montesquieu e Diderot. Se intorno al 1710 aveva fatto parlare di sé per la magnificenza della sua corte e delle sue feste, paragonate a Versailles, nel 1720 Sceaux era ormai in una fase di decadenza; comunque Madame duDeffand sarà per anni fedele alla causa dell’intrattenimento della duchessa del Maine. Tuttavia essere ospitati a Sceaux non era un onore privo di prezzo, la stessa marchesa nella sua corrispondenza rimarcò gli impegni gravosi che il suo ruolo comportava: “(…) poiché sono quasi sempre a Sceaux (…) mi capita sovente di non poter disporre di una sola mezz’ora libera in tutta la giornata. La compagnia delle principesse non è come quella dell’altra gente, non si può essere loro amici e conservare la propria libertà: rimpiango spesso di aver perso la mia ma (…) essa non è disgiunta da sicurezza e vantaggi”11. Se la duchessa del Maine si serviva di Madame duDeffand per intrattenere gli ospiti e per godere in perpetuo della sua compagnia, la marchesa si serviva del palcoscenico di Sceaux per seppellire il ricordo della gioventù libertina, optando per un nuovo tipo di seduzione che si basava sull’uso dello spirito e dell’intelligenza.

Intorno al 1747, dopo aver acquisito una straordinaria conoscenza dell’arte mondana, Madame duDeffand cominciò a disertare la duchessa del Maine e la sua corte ormai in decadenza per aprire il suo salotto letterario a Parigi.

Negli anni la marchesa non aveva mai avuto una dimora fissa, quindi decise di affittare un appartamento presso St. Joseph nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés che fece decorare con mobili e stoffe eleganti. Ben presto arrivarono i visitatori che la padrona di casa dilettava con passatempi come il gioco delle carte o la moda del “ritratto” letterario che consisteva nel dipingere la fisionomia di qualcuno non secondo i tratti somatici reali, ma piuttosto secondo quelli della personalità, dando luogo così a adulazione o esponendo al ridicolo chi veniva ritratto in un fine gioco di rebus. Oltre agli intellettuali, tra cui Voltaire, e d’Alembert, amato per il suo carattere scontroso: “Quando dice delle cose gentili è unicamente perché le pensa e perché quelli a cui le dice gli piacciono ”12,anche dame appartenenti all’alta aristocrazia frequentavano il salon.

Proprio attraverso il suo salotto letterario ebbe modo negli anni seguenti di conoscere Horace Walpole, col quale, ormai colpita da una cecità quasi totale, intrattenne una relazione affettiva platonica ed epistolareche durò fino alla sua morte, avvenuta il 23 settembre 1780.

Charlotte Aisse

Charlotte Aisse

Altra figura emblematica vissuta nel periodo della Reggenza è Mademoiselle Charlotte Aissé. Nata probabilmente nel 1694, forse figlia di un capo circasso, venne acquistata dal marchese Charles de Ferriol nel 1698 in un bazar di Costantinopoli. Alla fine della sua carriera diplomatica, Ferriol condusse la bambina con sé in Francia, dove la fece educare in collegio, com’era consuetudine all’epoca.

Alla fine degli anni in convento, dal quale era uscita ormai giovane donna, Aissé si ritrovò catapultata nell’ambiente effervescente del periodo della Reggenza, aiutata in questo dal contegno della sua famiglia di protettori; Madame de Ferriol era infatti il prototipo femminile dei tempi nuovi: bella, ambiziosa e vanitosa. Questa signora era la sorella di Madame de Tencin che, famosa per il suo salone per la sua passione per la politica, non esitava a ricorrere alle armi dell’intrigo e del ricatto per ottenere ciò che desiderava. Aissé tuttavia comprese ben presto che la libertà che le era concessa era del tutto fittizia. Infatti col ritorno di Monsieur de Ferriol la fanciulla fu chiamata ad assolvere entrambi i compiti di figlia e amante: “Quando vi ho tolto dalle mani degli infedeli (…) ho preteso di approfittare del destino che decide la sorte degli uomini per disporre di voi secondo il mio volere, e di fare un giorno di voi la mia figlia o la mia amante; il medesimo destino vuole che siate l’una e l’altra, non essendomi possibile separare l’amore dall’amicizia e i desideri ardenti da una tenerezza di padre. Così, conformatevi tranquillamente al destino e non separate ciò che il cielo sembra avere avuto il piacere di congiungere”13.

Ben presto Aissé si rassegnò al suo destino, mentre i suoi protettori avevano cura di far passare agli occhi della società la relazione col vecchio Ferriol come una relazione di affetto puramente filiale e giunse perfino, alla fine, a provare una certa compassione per il “povero ambasciatore”14. Ben presto Madame de Tencin e Madame de Ferriol pensarono di usare la giovane circassa (che ci viene descritta come alta e molto avvenente, tanto da essere chiamata da Voltaire “la ninfa di Circassia”15) per favorire le loro trame politiche. La bellezza della fanciulla aveva infatti risvegliato l’interesse di Philippe d’Orléans e le due donne evidentemente credettero che dopo aver dovuto  sottostare ad un uomo anziano come Monsieur Ferriol, Aissé non si sarebbe opposta. Ma non fu così. La relazione col vecchio ambasciatore era stata considerata dalla giovane come un male inevitabile, non come l’inizio di una vita di libertinaggio ed intrighi. Inoltre, intorno al 1720, nel salon di Madame de Tencin, Aissé aveva ormai fatto la conoscenza del cavaliere Blaise-Marie D’ Aydie, al quale l’anno seguente diede una figlia. Alla morte dell’ambasciatore, finalmente libera, tuttavia la giovane non sposò l’uomo che amava; questa sua scelta dipese da diversi fattori, tra i quali l’aver bruciato con le proprie mani, per via delle recriminazioni di Madame de Ferriol, il testamento con cui l’ambasciatore le lasciava un vitalizio ed una consistente quantità di denaro. Inoltre la giovane rifiutò di sposare d’Aydie per uno scrupolo d’onore: si rendeva conto che, benché la società l’avesse accolta con simpatia, non ne avrebbe mai fatto parte: sposando il cavaliere avrebbe recitato la parte dell’arrampicatrice sociale, esponendolo al ridicolo ed infine aveva degli scrupoli di riconoscenza nei confronti della famiglia dei suoi protettori. Tutto ciò le impedì di raggiungere la piena indipendenza e libertà e per tutta la vita rimase legata ai Ferriol, condividendone il progressivo declino finché, consunta dalla tisi, non si spense nel 1733.

Le donne e la rivoluzione: Olympe de Gouges e la dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina

Proseguendo in questa ricerca, dopo aver parlato del ruolo che le donne ebbero nella cultura illuminista e nell’istituzione dei salotti letterari, appare importante osservare la parte che rivestirono nell’ ambito di un altro grande avvenimento storico che segnò il XVIII secolo: la Rivoluzione Francese.

Nel corso dei secoli la storiografia ha spesso posto l’accento su di una visione stereotipata del ruolo delle donne nella Rivoluzione francese, relegando le donne alla solita posizione di nutrici confinate nell’ambiente domestico. Tuttavia, un’attenta analisi del ruolo pubblico femminile permette di allontanarsi da questi preconcetti. Infatti nelle giornate del 5 e 6 ottobre 1789, proprio le donne del popolo, esasperate dalla carestia che imperversava a Parigi, marciarono su Versailles, e come riportato dal “Journal d’Etat e ducitoyen”16 subirono l’aggressione delle guardie del corpo del re e del reggimento delle Fiandre, ottenendo una significativa vittoria: il ritorno della famiglia reale e dell’Assemblea Nazionale a Parigi : “Uneautre troupe de femmes se présenta, vers onze heures, auxgrilles de Chȃteau; elles voulai ententrer et parlerau Roi, elles paraissai ent déterminées. On aura peine à croire que les Gardes- du- Corps aienteu la lȃcheté de tirer sur des femmes… Il y eutuneune femme tuée. L’indignation et la fureurpassèrentdansl’ȃme de sescompagnes et de ceux qui les accompagnaient: tous ensemble se fondirent sur les Gardes. (…) Le succès de cettes uper bejournée est dȗ à la combinaison singulière des idées d’un people spiritual et ferme dans ses résolutions; au courage des femmes, qui ontétèvraiment des heroines (…)”17.

Malgrado la loro partecipazione attiva avesse segnato una significativa svolta nel condurre a  quella che poi sarà la Rivoluzione, la donna “politicizzata” sarà sempre giudicata in modo negativo: “(…) la femme instruite et qui fait de la politiquedoitnécessairement devenir <un etrecontre nature>, <une furie> … Il n’ya point de fléau plus funeste pour un Etatqu’une femme politique, bel esprit et philosophe. Ce monstre, car on ne peut pas donner un autre nom à cetetre-là, devient le distructeur de l’unionsociale”18. Appare quindi evidente che l’ammirazione per il coraggio dimostrato era un qualcosa di limitato e probabilmente legato all’euforia del momento. Anche per il nascente governo giacobino le donne erano dunque degli esseri inferiori, il cui compito era principalmente la salvaguardia della morale e il ruolo di moglie e madre. Chi si allontanava dalla consuetudine rischiava non solo la reputazione, ma anche la vita. Un esempio a questo proposito è fornito dalla scrittrice Olympe de Gouge.

Marie Olympe de Gouges

Marie Olympe de Gouges

Marie de Gouze, la futura Olympe de Gouge, era nata a Montauban nel 1748 dalla relazione clandestina di sua madre, Marie Gouze con l’aristocratico Le Franc de Pompignan. La giovane non ricevette mai una vera e propria istruzione, anche se soggiornò presso le Orsoline di Montauban che le insegnarono a leggere e a scrivere19. Ebbe sempre delle difficoltà a scrivere correttamente il francese, poiché la sua lingua madre era l’occitanico, quindi dettò sempre i suoi testi a dei segretari. Fu costretta a sposarsi molto giovane “avevo appena 14 anni quando mi diedero in sposa ad un uomo che non amavo affatto, e che non era né ricco né nobile. Venni sacrificata senza alcuna ragione che potesse compensare la ripugnanza che provavo per quell’uomo”20. Dal matrimonio (che la rese vedova dopo un anno) nacque un figlio, Pierre Aubry. Nel 1767 conobbe Jacques BiétrixRozières, un ricco impresario di trasporti per le truppe che seguirà a Parigi. Nella capitale Olympe si appassionò alla vita parigina ed è probabile, poiché Biétrix le aveva assegnato una rendita e pagava i suoi numerosi debiti, che fosse una femme galante.

In quel periodo, benché gli strascichi di effervescenza del periodo della Reggenza  fossero ormai agli sgoccioli, il PalaisRoyalera ancora teatro di numerose feste e centro del piacere parigino, inoltre Olympe frequentavai salotti e sposava le nuove idee di Rousseau.

Nel 1774 la morte di Luigi XV e la stretta religiosità del suo successore posero un freno alle frivolezze. Olympe era in quel periodo ancora distante dalla rivendicazione dei diritti delle donne, ma, come già accennato, fu tra le prime ad indignarsi per la schiavitù dei neri americani. Fu solo in seguito al 1787-1788, quando la grave siccità che colpì la Francia provocò un acuto malcontento tra i suoi compatrioti, che cominciò a maturare una coscienza politica. Nel 1788 nel suo scritto “Note patriottiche” rimproverò ai nobili la loro indifferenza nei confronti della povertà dilagante ed arrivò a proporre una sorta di stato sociale per le vedove e gli orfani. Seguì poi con partecipazione l’avvento progressivo della Rivoluzione con l’inaugurazione degli Stati Generali nel maggio del 1789 e la proclamazione dell’Assemblea Nazionale il 17 giugno e fu la prima donna tra la delegazione di cittadine di Parigi ad offrire l’obolo volontario per la sua inaugurazione, incitando le altre donne a fare lo stesso. Inoltre fu favorevole alla Costituzione votata il 3 settembre 1791 e rimase molto delusa dal tentativo di fuga del re: lei stessa, nello stesso anno e nello stesso mese, scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della Cittadina” dedicandola alla regina Maria Antonietta. Negli articoli si legge: “ La Donna nasce libera e rimane uguale all’uomo nei diritti”, “Il principio di sovranità risiede essenzialmente nella Nazione che non è che la riunione della donna e dell’uomo”, “Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni fondamentali (anche religiose), la donna ha il diritto di salire sul patibolo; deve avere anche quello di salire sulla tribuna”21.

Con l’avanzarsi della Rivoluzione, sempre più disgustata dalla piega che stavano prendendo gli eventi, scrisse, nel 5 novembre di quello stesso anno un “Pronostico su Maximilien Robespierre, da animale anfibio” in cui lo accusò di furia sanguinaria contro il re e gli pronosticò una fine violenta. Robespierre si riprese tuttavia prontamente e giunse a screditare Olympe, accusandola di essere la bastarda di Luigi XV. Luigi XVI venne infine giustiziato il 21 gennaio 1793, in quello stesso anno  la Convenzione dichiarò che le donne non avevano lo statuto di cittadine. Dopo l’arresto dei capi girondini il 2 giugno , Olympe si schierò in loro difesa e  il 20 fece stampare “Le tre urne o la salvezza della patria” un manifesto che riprendeva la proposta girondina di fare uno scrutinio con tre urne, una per la monarchia, una per il popolo e una per il governo federale. Arrestata mentre tentava di affiggerli, fu imprigionata e processata a porte chiuse dal Tribunale rivoluzionario che le rinfacciò di aver proposto con “Le tre urne” di far votare la monarchia, quando era ormai stata decretata la repubblica. Il 28 ottobre Olympe venne trasferita alla Conciergerie e il 3 novembre venne condotta al patibolo.

Alcuni giorni dopo sul giornale Moniteur si leggeva: “Olympe de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, scambiò il suo delirio per un’ispirazione alla natura. Volle essere un uomo di Stato, e sembra che la legge abbia punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”22.

Le donne e la vita politica: citoyennes tricoteuses

La vicenda di Olympe de Gouges è chiaramente un esempio particolare e non si possono ascrivere le sue idee e i coinvolgimenti che ebbe nella vita politica alle sue contemporanee. Tuttavia, nella Parigi rivoluzionaria, intorno al 1793 abbiamo,  secondo quanto riportato da Godineau, molti esempi di donne che seguivano la vita politica dalle tribune, partecipando alle assemblee rivoluzionarie o generali. Non avevano il diritto né di votare, né di deliberare, ma in un periodo di crisi come la primavera e l’estate del già citato 1793, segnato dagli importanti fatti e cambiamenti presi in esame precedentemente, lescitoyennes cominciarono a lasciare il loro posto in tribuna per unirsi ai cittadini maschi e prendere parte attiva nelle discussioni.23 Queste assemblee rivoluzionarie avevano la scopo di istruire il popolo e di seguire lo svolgersi della Rivoluzione. Soltanto gli aderenti avevano il diritto di prendere parte al dibattito, ma dalle tribune il popolo (uomini e donne) ascoltava gli oratori leggere giornali patriottici o i discorsi pronunciati dalla Convenzione. L’importanza di aggregarsi e partecipare a questi dibattiti, secondo quanto riporta Godineau, era fondamentale per le donne del popolo: “Nousserionsbienfachées de manquer une seule fois l’assembléepopulaire; aumoin, là nousnousinstruions”; “En venantici on s’ instruit et on saitdesnouvelles”.24Tuttavia le donne erano parte attiva soprattuttonelle riunioni della società popolare della Maison-Commune. Dalle tribune alle spettatrici veniva accordata la parola e soprattutto, le cittadine potevano divenirne membri effettivi, al pari dei maschi.Non sappiamo tuttavia con esattezza quante cittadine e specificatamente in che modo partecipassero al dibattito politico in questo contesto perché non restano che pochi “règlements” riguardo a questo argomento e questi per la maggior parte fanno passare la partecipazione femminile sotto silenzio. Tuttavia queste società popolari finirono per fondersi, nel 1793 con nuove “société” perdendo così il loro carattere misto; si può affermare però con una certa precisione che, nonostante questo, alcune società popolari come quella della Cité, dell’ Observatoire, dei Sans-Culottes, del Luxembourg mantennero comunque una certa percentuale di donne al loro interno: Godineau afferma che in proporzione le società popolari miste erano tra le sei e le dodici su un totale di quarantotto e che la presenza delle donne in questi organismi non era un’esclusiva di Parigi, ma che si può riscontrare anche in città come Chartres, Orléans, Cambraiecc…25. In ogni caso anche all’interno delle società popolari miste si ricorda di un solo caso nel quale la presenza femminile era considerata un principio imprescindibile, quella de l’Harmonie – Sociale che si consacrava prettamente all’istruzione: “Lesprincipes de l’Egalité sociale devantetresolennementconsacrés et mis en pratique, le droit d’acquérir et de répandre l’instruction et leslumièresutiles à la ChosePubliqueappartenantindistinctement à l’un et à l’autresexe, lescitoyennesserontadmiseségalement et sans dinstinctionsdescitoyens, à partagerlestravauxpatriotiques de la société”26.

All’interno delle società popolari, le donne svolgevano varie funzioni; potevano addirittura essere nominate segretarie della sezione e tutte le società miste si facevano scrupolo di accogliere un certo numero di cittadine che variava dalla quinta partea un terzo del numero totale27. L’importanza delle società popolari era notevole, perché di fatto sostituivano le assemblee generali, che seguivano le loro direttive assumendo le funzioni che una volta erano loro proprie: censuravano i funzionari delle varie sezioni quando era necessario, distribuivano i certificats de civisme, ecc… controllando di fatto la vita politica locale. Questo era chiaramente un paradosso; le cittadine, che non avevano alcun diritto politico, potevano partecipare al potere attraverso la loro adesione alle società popolari. Nell’inverno del 1793 queste incongruenze, perfettamente percepite dai contemporanei, vennero a galla e il ruolo delle donne nelle assemblee fu ferocemente attaccato dalla sanculotteria più radicale. Portavoce di questo dissenso fu il giudice di pace Hu che attaccò in particolare la Société Fraternelle des Deux Sexes du Pantheon Français, che si distingueva dalle altre per avere un certo equilibrio tra i membri di sesso maschile e femminile, accusandola di essere “une société hermaphrodite dans la quelle desintrigants tyrannis ent leursfrères et sontasserviseux-memes à des femmes libertines qui partagentaveceuxleshonneursdu bureau”28. Le affermazioni di Hu trovarono terreno fertile perché, secondo Godineau, la maggioranza della popolazione condivideva il suo punto di vista. Ma il giudice si spinse anche oltre, dicendo “qu’il a vu la dignité de l’hommeoffensée en passant sous la censure de quelque femme pour etreadmismembre de cettesociété”29. Il nodo gordiano del dissidio erano i certificats de civisme; com’era possibile, si chiedeva Hu, che  il compito di conferirli fosse affidato a delle donne che, per valutare la possibilità di rilasciarli o meno ad un cittadino maschio ed istruito, lo sottoponevano ad ogni genere di domanda su politica e dogmatismo? Non solo le citoyennes erano, secondo il giudice, delle incolte che “selonleurcaprice”30 giudicavano dei cittadini colti, ma per di più erano delle donne, da sempre considerate (e si è visto precedentemente che la cultura illuminista non fece nulla per modificare questo stato di idee) come inferiori all’uomo perché “sans lumière ni raison”31.

In seguito il 9 ottobre 1793, fu approvato un decreto che vietava i club femminili e molti si persuasero che l’interdizione includesse anche le società popolari. D’altra parte, secondo Godineau, molti dei membri stessi delle società erano dubbiosi se non contrari alla partecipazione delle donne alla vita politica, mentre i dirigenti (tra i quali si contavano delle donne) la difendevano tenacemente.  Il vero problema, che interessava sia i loro detrattori che le società stesse era il potere decisionale che le donne esercitavano al loro interno. Soprattutto la loro strettezza nel concedere i certificats de civismecausava parecchio malcontento.32A ciò occorre aggiungere alcune radicalizzazioni attribuibili alla sanculotteria femminile comel’hérbertismedimostrato nella primavera del 1794. Queste predilezioni politiche furono punite colpendo le società popolari (specialmente quelle miste) e sei mesi dopo la chiusura dei club femminili, anche queste subirono la stessa sorte, sia per le loro posizioni anti giacobine sia per il ruolo privilegiato che le donne avevano occupato all’interno delle stesse. Di fatto nel maggio del 1794 le società popolari si erano dissolte, lasciando campo libero ai Giacobini33.

Le donne nel XIX° secolo: conclusioni

L’aprirsi del XIX° secolo con la promulgazione del Codice napoleonico nel 180434mostra le donne ancora sottomesse al “dispotismo maritale”, poiché il Codice stesso era strutturato in modo da favorire il potere e l’autorità maschile35. Certamente ci fu una resistenza a questo processo di subordinazione, anche alla luce dei piccoli progressi che vi furono nel periodo rivoluzionario, come la partecipazione politica della quale si è parlato nel paragrafo precedente, tuttavia il XIX° secolo si dimostrò un secolo prettamente dominato da una mascolinizzazione che minimizzò la partecipazione delle donne alla Rivoluzione e ai cambiamenti sociali e politici del XVIII° secolo. Alcune donne di fatto, non desideravano nemmeno l’emancipazione, come dimostrato ad esempio da una lettera inviata da una lettrice all’AthénéedesDames, un periodico pubblicato tra gli ultimi anni della Rivoluzione e il 1830 che costituisce un tentativo unico fatto da alcune donne per uscire dalla loro posizione subordinata: “Io penso che voi abbiate torto a voler mettere in dubbio l’opinione comune che l’uomo è superiore  alla donna”36. Le donne comunque non possedettero mai i diritti che spettavano all’uomo grazie al nuovo status di “citoyen”, cosa che influenzò la loro partecipazione alla vita politica; la società nata dalla Rivoluzione si voleva democratica e basata sui valori di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, diritti naturali di ogni individuo, ma di fatto una grossa porzione della società, tra cui le donne, ne era esclusa. In seguito, sotto il Consolato e poi sotto l’Impero, la designazione di “citoyenne” finì per cadere in disuso, le furono preferiti i termini “Madame” e “Mademoiselle”, che invece di indicare uno status politico emancipato erano volte ad indicare la podestà paterna o maritale sulla generazione di donne che seguì alle “tricoteuses” che si erano impegnate, anche politicamente, nel corso della Rivoluzione francese.

Giulia Bordonali

I diritti delle donne nel secolo dei Lumi: il periodo della reggenza e la Rivoluzione francese ultima modidfica: 2016-01-03T16:41:47+01:00 da Giulia Bordonali

Riferimenti e citazioni

  1. Outram, L’illuminismo, p. 8.
  2. Ibid., p. 11.
  3. Outram, L’illuminismo, p. 105.
  4. Ibid, p. 108.
  5. Ibid, p. 109.
  6. Rao, Felicità pubblica e privata, pp.106, 108,109.
  7. Craveri, Madame duDeffand, p.19.
  8. Outram, L’illuminismo, pp. 114-118.
  9. Craveri, Madame duDeffand, p. 14.
  10. Craveri, Madame duDeffand, p. 14-15.
  11. Craveri, Madame duDeffand, p. 62.
  12. Ibid., p. 133.
  13. Craveri, Lettere di MademoiselleAissé, p. 15-16.
  14. Ibid, p. 16.
  15. Ibid., p. 19.
  16. Pisano-Veauvy, Le parole inascoltate, p. 151.
  17. Pisano-Veauvy, Le parole inascoltate, p.153.
  18. Ibid., p.85
  19. Mousset, Olympe de Gouges, p. 25.
  20. Ibid, p. 29.
  21. Mousset, Olympe de Gouges, pp. 80,81,84.
  22. Ibid., p. 110.
  23. Godineau, Citoyennestricoteuses, p. 200.
  24. Ibid, p. 202.
  25. Ibid., pp. 202-203.
  26. Ibid. , p. 204.
  27. Ivi.
  28. Godineau, Citoyennestricoteuses, p206.
  29. Ivi.
  30. Ivi.
  31. Ivi.
  32. Ibid., p. 206.
  33. Ibid., p. 209.
  34. Pisano-Veauvy, Le parole inascoltate, p.183.
  35. Godineau, Citoyennestricoteuses, p. 351.
  36. Pisano-Veauvy, Le parole inascoltate, pp.183-184.

Bibliografia

Benedetta Craveri, Madame duDeffand e il suo mondo, Osnago 1983.

Benedetta Craveri, Lettere di MademoiselleAissé a Madame C., Sesto San Giovanni 1984.

Dominique Godineau, Citoyennestricouteuses, Marsiglia 1988.

Sophie Musset, Olympe de Gouges e i diritti della donna, Lecce 2005.

Laura Pisani- Christiane Veauvy, Parole inascoltate. Le donne e la costruzione dello Stato-nazione in Italia e in Francia 1789-1860, Roma 1994.

Anna Maria Rao, Felicità pubblica e felicità privata nel Settecento, Roma 2012.

Dorinda Outram, L’illuminismo, Bologna 2006.

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