Storia dell'arte

La cripta di Sant’Eusebio in Pavia

di Paolo Dinaro / pubblicato il 7 Giugno 2014

Introduzione

La cripta, o scurolo, di Sant’Eusebio è situata in Piazza Leonardo da Vinci a Pavia, all’altezza del novecentesco palazzo delle poste e di fronte al palazzo centrale dell’Università (in particolare di fronte a quella parte dell’Università che è l’edificio dell’ex Ospedale San Matteo) ed è quanto rimane dell’antica cattedrale ariana di Pavia, che, fortemente rimaneggiata nel XVII secolo, è stata abbattuta nel 1923, quando fu costruito il già citato palazzo delle poste e sistemata la piazza attraverso dei lavori (come l’abbattimento del muro perimetrale di palazzo Del Maino, abbattimento della chiesa e la messa in posa del parterre) che portarono alla configurazione attuale della stessa.

La basilica di Sant’Eusebio

Zona di S.Eusebio. Planimetria comparativa tra la situazione attuale e quella anteriore alla demolizione

Figura 1: Zona di S.Eusebio; Planimetria comparativa tra la situazione attuale e quella anteriore alla demolizione. Pubblicata da Peroni, 1966.

La prima citazione della basilica di Sant’ Eusebio è nell’opera di Paolo Diacono[1], dove la chiesa è indicata come sede del vescovo ariano, un’altra citazione è nell’opera dell’Anonymus Ticinensis , o Opicino de Canistris,  il quale nel suo elenco di chiese la cita come Sant’Eusebio Maggiore, distinta da Sant’Eusebio in Vercellina, sede del presule di Vercelli, quando si trovava in visita alla corte regia di  Pavia, questa chiesa, a tutt’oggi, non è stata identificata né localizzata. All’interno della chiesa erano venerate le reliquie dei “Santi Sette Martiri”, così come indicato anche da Opicino, e forse anche della loro madre S. Sinforosa. Sant’ Eusebio Maggiore è collocato dal Maiocchi, prelato e storico dilettante pavese, nella zona detta di Foromagno, un’area che fino alla prima metà del novecento si credeva essere l’area in cui doveva essere ubicato il foro della città di fondazione romana, e che si ritiene essere nell’area di Piazza Vittoria; un’altra attestazione[2] vuole che il nome sia dovuto a storpiatura di Faramannia[3], che “Copriva un’ampia zona pianeggiante limitata a levante e a settentrione dalle mura urbiche, a mezzogiorno dal foro romano (piazza del municipio attuale[4]) e a ponente infine da una linea che corrisponde all’attuale Via D. Sacchi, ad ovest della quale doveva svilupparsi il quartiere abitato dall’elemento etnico longobardo, attorno alla cattedrale ariana di Sant’ Eusebio.” (Fagnani, 1963, p. 16) La chiesa, fino al 1923, aveva davanti una piccola piazzetta, detta piazzetta Sant’Eusebio appunto, e un vicolo che costeggiava l’abside e che separava la chiesa da un piccolo gruppo di case[5]. La chiesa e la piazzetta in questione, che permetteva un accesso a sé stante alla chiesa secondo un modulo caratteristico a Pavia per gli edifici sacri medioevali, erano ricavate all’interno e non sul finire di un’antica insula romana. “Lo studio delle mappe più antiche consente di osservare che le tre torri della Piazza Leonardo (più quella all’angolo di Via Difende Sacchi e due in Via Galliano) si disponevano su un lato o sull’altro di un antico percorso viario romano, parallelo al decumano massimo, il quale tuttavia aveva assunto una delineazione alquanto irregolare. Questo percorso definisce altresì il confine settentrionale dell’insula quadrata dove si trovava la chiesa di Sant’Eusebio. […] Nel nostro caso si può concludere che, analogamente a quanto si osserva in altri casi d’edifici sacri, Sant’Eusebio fu costruito all’interno e non ai margini di un’insula, condizionando la creazione di un breve accesso o piazzetta antistante, nonché la creazione di passaggi minori, che venivano a suddividerla, mantenendo però alla chiesa una relativa preminenza all’interno di un ristretto comparto.” (Peroni, 1966, p.53).

La cripta di Sant’Eusebio

Figura 2: Mappa del 1855 in cui sono evidenziate le insula romane. Pubblicata da Peroni 1966

Figura 2: Mappa del 1855 in cui sono evidenziate le insula romane. Pubblicata da Peroni 1966

La cripta oggi è una struttura sotterranea di tracciato a ferro di cavallo; la partitura interna ad oratorio in cinque navatelle, che comportano quattro filari di colonne a sostegno d’archi e di volte a crociera apparenti, le quali sono sostenute nella zona perimetrale da semicolonne addossate al muro in cui si aprono 11 nicchie a doppia incassatura, due delle quali parzialmente occultate e in uno è visibile una finestra. La cripta ha dieci elementi portanti (distribuiti 2-3-3-2), per la maggior parte di reimpiego, che, privi di base, poggiano sull’originario pavimento in cocciopesto o terra battuta, ad un livello leggermente più basso dell’attuale; su questi elementi poggiano dei capitelli in arenaria troncopiramidali. All’interno della cripta ci sono resti d’affreschi sulle pareti e su alcune delle vele delle crociere in cui sono riconoscibili due dei simboli degli evangelisti (l’angelo di S. Matteo e parte del bue di S. Luca), busti di santi, e un bambino, parte di una madonna con bambino benedicente, che, sulla base stile, che Padre Romualdo Ghisoni riferisce esse apparent Aecclesiae Graecae di tipo quindi bizantino, sono stati datati al XIII secolo.

Figura 3: Pianta S. Eusebio. Pubblicata da Balducci, 1935.

Figura 3: Pianta S. Eusebio. Pubblicata da Balducci, 1935.

Il preciso riferimento al re Rotari (636-652) nell’opera di Paolo Diacono non è servito a datare il periodo di fondazione della chiesa, e della cripta di cui essa era parte, che non è mai stato determinato con certezza. Cattedrale ariana prima e in seguito consacrata come chiesa cristiana la fondazione potrebbe essere anteriore alla presenza longobarda nella città di Pavia. La stessa titolazione a Sant’Eusebio, noto oppositore all’eresia ariana, risale al 681 circa, (esiste una teoria sulla titolazione precedente ma è poco documentata) quando la chiesa fu riconsacrata al culto cattolico dopo la conversione del vescovo ariano Anastasio, che divenne prima prevosto di Pavia dal 651 al 681 e in seguito Santo. A causa del suo esser stata una chiesa ariana fu colpita dal Breve di papa Giovanni I, con il quale le chiese ariane furono esaugurate e consacrate come chiese cristiane,  e, in seguito, mantenne a lungo una sola campana per richiamare i fedeli proprio perchè era stato un edificio di culto ariano. La pianta dell’edificio originale è sconosciuta, ma, si suppone, che sia stato di tipo basilicale ( a tre navate, di cui più larga la centrale terminante in un abside); dopo il restauro del 1600, la chiesa aveva un impianto basilicale a tre navate divise da otto colonne marmoree. La datazione della chiesa è incerta, alcuni elementi della muratura esterna ed interna hanno condotto ad alcune ipotesi. Il muro perimetrale è stato messo a nudo durante i restauri degli anni ’30 del Novecento, dopo che una mascheratura a giardino, progettata dal arch. Morandotti, dopo la sistemazione della piazza nel 1933, aveva causato delle infiltrazioni di umidità nella struttura. Durante questi restauri sono state scoperte delle tombe del periodo longobardo, forse di sacerdoti cattolici. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che gli officianti ariani erano seppelliti all’interno delle chiese, come dimostra la scoperta, nel 1600, dei resti di un vescovo ariano precedente al già citato Anastasio all’interno della chiesa di Sant’Eusebio, con tanto di paramenti preziosi, con gemme e pastorale in argento, oggetti che sono stati venduti per ricavare un beneficio ecclesiastico. Nel lato nord della struttura è possibile osservare l’impostarsi della muratura sul terreno. Qui si notano alcuni filari a spinapesce di mattoni rotti e pietre e su questi filari l’innalzarsi per corsi regolari di mattoni di grosso modulo misti (dai 42 ai 44 cm di lunghezza e dai 6 agli 8 d’altezza con “testa”[6] di 27 cm) tenuti insieme da malta non stilata. Si tratta per la maggior parte di manubriati[7]. A 1,5 metri dai filari a spinapesce, vi è una muratura in mattone misto, da definirsi come fondazione “a sacco”. Il tratto absidale presenta una risega d’andamento poligonale, rispetto a quello curvilineo sovrastante. Proprio questa risega della muratura fa pensare ad un forte restauro o ristrutturazione nel periodo longobardo forse del periodo del re Rotari. “Le riseghe, senza costituire una prova assoluta, alludono ad una certa prossimità dell’antico livello esterno, e cioè ad una limitata differenza con quello interno attuale della cripta, che perciò potrebbe essere considerato come quello di un edificio privo di vano sotterraneo. […] Il muro medesimo per i suoi caratteri tecnici, per la presenza della risega (in quanto indizio di un livello più profondo) indirizza facilmente verso il periodo immediatamente pre-longobardo o longobardo. La regolarità dell’apparato e la quantità di manubriati fanno sì che siano più facili i confronti con le murature del battistero di Lomello piuttosto che con quelle, assai più miste o di tecnica meno massiccia che si vedono a Pavia nei resti di S. Maria alle Cacce o di S. Felice.” (Peroni, 1966, p.61) Tutto ciò insieme alle nicchie e all’articolazione absidale posta a paragone di chiese con una datazione più certa come S. Sofia a Padova e i resti della cattedrale di Ventimiglia, benché sia ipotizzabile una simile articolazione per S. Maria in Pertica, nel caso in cui si reputi veritiero il disegno leonardesco, hanno fatto pensare a Peroni ad una datazione cauta compresa tra il VI e il VII secolo. A sostegno di questa tesi sulla datazione sono stati portati anche degli studi sui capitelli. Sono stati suddivisi dal Balducci in quattro tipi, che sono variazioni di una formula elementare che attribuisce alla scantonatura o foglia un profilo rozzamente a rilievo, un tipo ad alveoli, forse un doppio ordine di fogliami, ed uno che fa sospettare ad un’imitazione più tarda. Diversi i capitelli delle semicolonne in mattoni, che “Appartengono ad una tipologia che coinvolge l’architettura del XI secolo rappresentando un’applicazione in muratura del capitello per mezzo di un’incisione angolare, che talora assume il carattere di una foglia puntuta, lasciando alle faccie del capitello una sagoma trapezoidale.” (Peroni, 1966, p.59). I capitelli sono in blocchi d’arenaria chiara troncopiramidali, leggermente rastremati con spigoli laterali tolti da smussi concavi, con reminescenze di fogliame di palma senza nervature, ma con un contorno e sormontati da un abbozzo di pulvino[8] in pietra anch’esso, più largo dello stesso capitello, ma nascosto dall’imposta delle volte; la decorazione sui capitelli è scarsa. Sotto alcuni capitelli un tratto grossolanamente squadrato a forma di cubo, privo di decorazione.

Figura 4: Particolari. I quattro tipi di capitelli descritti Balducci e assonometrie delle tombe attorno alla cripta. Pubblicata da Balducci, 1935.

Figura 4: Particolari. I quattro tipi di capitelli descritti Balducci e assonometrie delle tombe attorno alla cripta. Pubblicata da Balducci, 1935.

Questi sono ritenuti appartenenti alla chiesa costruita da Rotari; ma non si è concordi se ritenerli o no, coevi con le murature. Il numero e il materiale coerenti sono ritenuti dei segnali che furono eseguiti proprio per la cripta di prima fondazione e che non sono di reimpiego da altre strutture come le colonne. “Balducci, osservando la parte infima di muro perimetrale, giunse alla conclusione che essa può essere pre-longobarda, mentre quella che la sovrasta, assieme ai capitelli della cripta, può spettare al rifacimento di Rotari.” (Fagnani, 1963, p.17). Questo fa pensare che la muratura più vicina al suolo sia ariana e quella più in alto sia parte del rifacimento cattolico[9]. La datazione generale della cripta sale all’VIII secolo, in quanto in Europa non vi sono cripte prima di questo periodo del VII secolo, se si esclude la cripta di Jouarre in Francia, datata intorno al 653. “La cripta di Sant’Eusebio presenta una doppia struttura: inferiormente una pseudo volta con elementi con elementi a corsi orizzontali e superiormente una specie di calotta con mattoni e scaglie collocate presso a poco in maniera radiale. La costruzione contemporanea delle vele e degli archi è rivelata dalle impronte delle tavole ancora visibili nello strato aderente ai laterizi. Questi rilievi, conclude il Cecchelli, smentiscono il Rivoira[10] per quanto riguarda la ricostruzione delle volte, e che permetteranno di attribuire la cripta al secolo VII e forse anche alla fine del VI.” (Fagnani, 1963,  p. 17).

Figura 5: stuttura dei sottarchi e della volta (rilievo dell'arch. Aschieri) pubblicata da Peroni 1966.

Figura 5: stuttura dei sottarchi e della volta (rilievo dell’arch. Aschieri) pubblicata da Peroni 1966.

Le volte a crociera della cripta non sono basate sul principio dell’intersezione di volte a botte, ma sono di un tipo incerto, predominante nelle piccole come nelle grandi campate dell’architettura medievale longobarda. Nella costruzione delle vele sono stati impiegati mattoni di spessore variabile dai 2 agli 8 cm, che sono stati posti in piano fino all’altezza di 95 cm, dopodichè i mattoni sono collocati in maniera disordinata per punta con impiego di malta composta di calce e sabbia del fiume Ticino. L’andamento dell’apparato delle vele è condizionato dall’esiguità delle dimensioni. “Non possono essere considerate crociere costolonate le due intersezioni d’arcature che si riscontrano presso il culmine del giro absidale. Esse hanno il palese intento di evitare due ulteriori sostegni e il riprodursi di quelle voltine ristrette, in simili casi, dal perimetro circolare. È vero che denotano una notevole maestria tecnico-costruttiva, e dunque una tappa tecnicamente più avanzata a quella delle volte intercomunicanti, non separate cioè da archi, come avviene in molte chiese dell’Italia settentrionale (Asti, Sezzadio, ect.).” (Peroni, 1966, p. 57) Le semicolonne sono costituite da mattoni semicircolari (alt. 7 cm e diametro circa 20 cm). I capitelli sono ricavati dagli stessi mattoni scolpiti e non prodotti a stampo, sono di moduli piuttosto piccoli e differenti da quelli in pietra. Padre Rodolfo Maiocchi,  nel suo testo “Le chiese di Pavia”, precedente alla demolizione, ci fornisce alcune importanti informazioni su Sant’Eusebio. Nel 1460 è rettore della diocesi Paolo Scartabelli, nominato dieci anni prima dal vescovo Giovanni Borromeo, che ricavava da questo beneficio sessanta fiorini l’anno. Altra informazione è la fondazione di una cappellania gestita dalla famiglia Mangano di Pavia, del reddito di cinquanta fiorini l’anno. All’interno della chiesa, cosa non comune all’epoca, era officiata messa ogni giorno, quattro volte a settimana dal parroco e tre volte dal cappellano che all’epoca era Francesco Mangano, appartenente all’ordine dei francescani, nonostante questo, all’interno della chiesa non era conservata l’eucaristia, sebbene all’interno del tempio fosse presente un tabernacolo in rame argentato. La diocesi di Sant’Eusebio in quel periodo comprendeva appena dodici case. “Si allargò in progresso di tempo quando ebbe aggregate le parrocchie di S. Sisto, di S. Giorgio e parte di quelle di S. Martino in Pietra lata, di S. Maria Venentica e di S. Quirico, alle quali concentrazioni si aggiunsero poi nel 1577 quelle di S. Giacomo e di S. Michele in Foro Magno.” (Maiocchi, 1903, p.269). Da questo testo veniamo a conoscenza che nella chiesa l’altare maggiore presentava un’iscrizione che ricordava un restauro avvenuto nel 1512 per cura di Pietro Paolo Valvassori, arciprete del duomo di Pavia e rettore di Sant’Eusebio. Questi restauri, a detta del nostro Padre, sfuggirono a studiosi a lui precedenti, che avevano riportato solo i restauri fatti nel 1600, anno in cui furono scoperti all’interno della chiesa i resti del vescovo ariano di cui si è già detto prima, e l’abbattimento e ricostruzione complessiva nel secolo successivo con tre soli altari, la facciata rivolta a ponente, tre navate divise da otto colonne marmoree e una gradinata che immetteva nel presbiterio, sotto cui era la cripta, preservata dai lavori di restauro. Questa ricostruzione distrusse un affresco del 1615 commissionato da Isabella Vistarino Brusca e d’autore ignoto che raffigurava S. Sinforosa e i suoi sette figli, le cui reliquie erano venerate nella chiesa. Padre Maiocchi ci riporta la notizia di aver ritrovato un inventario dei mobili della chiesa datato 8 giugno 1525, grazie al quale riesce ad affermare che non era ricca d’arredi. Nel 1806 la parrocchia fu soppressa e unita a quella della vicina S. Francesco; la struttura fu ceduta all’ospedale S. Matteo che la destinò, in un primo momento, ad infermeria in caso d’epidemia e in seguito a luogo dove ricoverare gli ammalati del reparto dermatologia, rimase tale fino al 1923, quando fu abbattuta.

Figura 6: Veduta assonometrica con collocazione degli affreschi. Pubblicata da Peroni 1966.

Figura 6: Veduta assonometrica con collocazione degli affreschi. Pubblicata da Peroni 1966.

Tra il 1962 e il 1972 la cripta fu restaurata. In quest’occasione si eliminò in maniera definitiva quanto restava della mascheratura a giardino, che aveva provocato gravi infiltrazioni di umidità nella cripta e che aveva danneggiato gli affreschi, i quali vengono restaurati anch’essi con la tecnica dello strappo. La cripta era completamente affrescata, uno dei pochi casi, e oltre a quanto rimane oggi erano dipinti anche i sottarchi con motivi a ovuli e motivi consueti nell’arte medievale, i capitelli erano dipinti a fogliami e  le pareti recavano specchiature a finto marmo, in quella centrale è visibile ancora quanto resta di una madonna con bambino. Quanto resta di questo complesso sistema decorativo è percepibile in tutta la cripta e nei semipilastri ottagonali e anche nel muro attiguo esterno sono presenti tracce d’affresco (la porzione inferiore di una figura in abito rituale e di un’altra figura frammentaria e di un motivo decorativo nastriforme). Questa decorazione, per aspetti tecnico-formali, è stata datata attorno al XIII secolo.  Paolo Dinaro

Galleria fotografica

 Foto di Gustavo Ferrara (licenza concessa dai Civici Musei di Pavia. Vietata la riproduzione parziale o totale)

La cripta di Sant’Eusebio in Pavia ultima modidfica: 2014-06-07T15:04:38+02:00 da Paolo Dinaro

Citazioni e riferimenti

[1] Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, libro IV-42. «In civitate quoque Ticinensi usque nunc ostenditur, ubi Arrianus episcopus aput basilica sancti Eusebii residens baptisterium habuit, cum tamen acclesiae catholicae alius episcopus resideret. Qui tamen Arrianus episcopus, qui in eadem civitate fuit, Anastasius nomine, ad fidem catholicam conversus, Christi postea ecclesiam rexit.»

[2] Dovuta alla rettifica fatta dallo Schiapparelli.
[3]«Una terra che lo stato concedeva in godimento a gruppi di militari di stirpe longobarda, detti appunto faramanni, come corrispettivo del servizio militare localizzato da essi prestato in modo stabile e continuativo». (Fagnani, 1963)
[4]La Piazza indicata come “del municipio” è in realtà l’attuale Piazza Vittoria.
[5] La piazzetta Sant’Eusebio è riconoscibile nella mappa del Corti 1599 e nella Ballada1617, in cui si può anche notare un ingrandimento della struttura, forse dovuto ai restauri del 1600.
[6] Larghezza del mattone
[7]I manubriati sono mattoni solitamente di grandi dimensioni, dotati all’estremità di una cavità a maniglia destinata ad agevolarne il trasporto.
[8]Genericamente per pulvino si deve intendere quell’elemento costruttivo che sovrasta il capitello e che sopporta il peso e le spinte delle piattabande o degli archi sovrastanti. Si chiamano pulvini anche quei blocchi lapidei o murarî di forma trapezoidale, disposti in corrispondenza delle colonne sopra gli architravi e destinati a sorreggere le piattabande di scarico degli architravi stessi.
[9] A detta di Balducci, già il Rivoira, confermato dal Venturi, data l’inserimento della cripta all’interno della chiesa tra il 583 e il 662.
[10] Il Rivoira aveva datato le volte ad una ricostruzione successiva al terremoto del 1117.

 

Bibliografia

  • Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, C. Leonardi e R: Cassinelli (a cura di). Ed. Electa, Milano, 1985.
  • Opicino de Canistris, Lodi della città di Pavia, Pavia, Logos international, 1984.
  • Maiocchi Rodolfo, Le chiese di Pavia, Pavia 1903, rist. an. 1997 stampa anastatica 1997 EMI editrice in Pavia (testo pubblicato nel 1903).
  • Balducci Hermes, La cripta di Sant’Eusebio in Pavia, in Ticinum marzo 1935. pp. non num.
  • Fagnani Flavio, La cripta di Sant’Eusebio, in «Pavia» 1963, pp. 15-17.
  • Peroni Adriano, La cripta di Sant’Eusebio: problemi e prospettive di un restauro in corso, in «Pavia», 1966, pp. 37-62.
  • Fagnani Flavio, Guida storico artistica di Pavia, Ed. Luigi Pozio, Pavia 1985. pp. 34-36.
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