I. Cuis regio, eius religio. A ogni terra la religione del suo principe.
Questa espressione, coniata in occasione della pace stipulata alla Dieta di Augusta (1555), sembra, a un livello superficiale, chiudere definitivamente una ferita aperta quasi quarant’anni prima da Martin Lutero (1483-1546) con la divulgazione delle sue Novantacinque tesi. A un livello più profondo, tuttavia, la possibilità data a un regnante di imporre ai sudditi la propria confessione di fede legittima, di fatto, il regnante stesso a farsi arbitro di questioni riguardanti l’organizzazione della vita religiosa del suo popolo, come secoli prima era accaduto durante il regno di Costantino il Grande (306-377).
Proprio la figura di Costantino – cioè quella di un monarca illuminato che decideva dell’organizzazione della Chiesa universale – fu recuperata, al tempo della Riforma, in riferimento ai fiorenti studi sulla falsa Donazione che egli avrebbe fatto alla Chiesa romana nel 315.
Questo elaborato cercherà di inquadrare brevemente l’idea che il mondo protestante aveva del Constitutum Constantini partendo dallo studio della fusione, avvenuta tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, tra il “mondo delle idee”, cioè quello delle Università o, più in generale, della Cultura, con i fermenti riformistici che agitavano la Chiesa universale. L’elaborato si concluderà con una piccola analisi dei differenti esiti avuti dalla relazione tra potere politico e organizzazione religiosa al tempo della Riforma.
II. Umanesimo e riforma della Chiesa
L’Umanesimo fu un movimento culturale che riuscì a mettere in discussione le metodologie di acquisizione e i contenuti del sapere dell’epoca; fu un atteggiamento verso la vita che si esprimeva con l’idea che il vero centro di interesse dell’umanità fosse l’uomo stesso. Si deve tenere ben presente che il progetto secondo cui l’uomo avrebbe dovuto estendere il suo “controllo razionale su ogni aspetto della vita”1 non implicava una rottura definitiva con la Chiesa e bisogna ricordare anche che i papi del Rinascimento erano stati essi stessi degli umanisti2.
Inoltre erano molti gli umanisti che credevano fortemente in una possibilità di riforma ecclesiastica: si prenda come esempio Erasmo da Rotterdam (1469?-1536) che pubblicò l’Enchiridion Militis Christiani (1500), opera in cui espose la tesi secondo la quale “la Chiesa d’allora poteva essere riformata da un ritorno collettivo agli scritti dei Padri e della Scrittura”3.
Erasmo propone, attraverso una conoscenza diretta dei Testi Sacri, perseguita grazie allo studio filologico degli stessi, un accrescimento e una presa di coscienza della propria Fede e, di conseguenza, un miglioramento interiore da parte del credente. La “riforma” erasmiana voleva essere una riscoperta, a livello individuale, del proprio essere cristiani nell’orizzonte di una Chiesa libera da tutti i dettami che avevano ridotto la Fede a una semplice ripetizione di vuote pratiche devozionali e che avevano trasformato il Cristianesimo “in modo che la sua essenza non fosse più l’amore del prossimo, ma l’astenersi da burro e formaggio durante la Quaresima”4.
Per molti dei loro contemporanei Erasmo e Lutero predicavano un vangelo assai simile ma, sebbene ci fosse stato un voluminoso carteggio tra il Principe degli umanisti e l’Ercole tedesco – e sebbene il primo avesse elogiato il secondo per il fatto che “aveva liberato gli uomini da rosari, salteri, pellegrinaggi, acqua benedetta, confessione, regole sul cibo e sul digiuno, dall’abuso del potere di mettere al bando e dalla pompa delle indulgenze”5 –, i due non riuscirono mai a trovare seriamente dei punti di contatto a partire dai quali avrebbero potuto impostare una proposta di riforma concreta e compartecipata.
L’idea di una riforma della Chiesa unita alla volontà di rianimare la coscienza cristiana dell’Europa attraverso la diffusione e lo studio degli scritti sacri – che sarebbe divenuta di capitale importanza per Lutero –, segnò profondamente quella generazione di studenti che frequentavano le università svizzere e tedesche.
È chiaro, così, come i riformatori tenessero ben presente l’opinione degli umanisti: se l’uno non aveva un qualche contatto con l’altro – come abbiamo visto per Lutero ed Erasmo – il riformatore e l’umanista erano la stessa persona, come nel caso di Ulrich Von Hutten (1488-1523): cavaliere della piccola nobiltà dell’Assia, in gioventù studiò teologia all’università di Greifswald. Coniugò studi e attività letteraria, lotta politica e spirituale. Hutten si servì della Riforma per legittimare le istanze del nascente nazionalismo tedesco6, che vedeva nella Chiesa romana il primo nemico da respingere in quanto causa di divisioni e sfruttamento economico della Germania. Emancipare la patria dallo strapotere romano, ribellandosi anche ai grandi feudatari cattolici: questo piano venne attuato da Hutten “brandendo tanto la spada quanto la penna dell’umanista”7: agli attacchi dalle pagine dei suoi libelli e alla battaglia letteraria per dimostrare “logicamente” la vanità del potere temporale della Chiesa – nel 1518 pubblicò, forse a Magonza la prima edizione tedesca de La Falsa Donazione di Lorenzo Valla8 – unì l’attività guerresca. I cavalieri, amareggiati per il loro progressivo impoverimento e per il loro assoggettamento alla giurisdizione dei grandi Principi, vedendo la Chiesa potente e ricca, decisero di ribellarsi, sotto la guida di Hutten e Sickingen.
Con la sconfitta dei cavalieri e con la morte di Hutten giunse alla sua fine anche il progetto che voleva una Germania imperiale liberata del potere del papa, fondata sul primato della forza politica dei cavalieri e sulla fine del potere della grande feudalità laica ed ecclesiastica. Lutero, avendo compreso sin dagli inizi il potenziale distruttivo della rivolta dei cavalieri prese una posizione di chiara opposizione nei confronti dei rivoltosi, denunciandone il comportamento sedizioso.
III. La falsa donazione di Costantino tra Rinascimento e Riforma luterana
“Nel Rinascimento la figura di Costantino rifulge di un prestigio indiscusso, come quella del primo imperatore che si convertì al cristianesimo. Erasmo ne parla come un santissimo uomo e Jean Bodin come del primo imperatore che, prodigandosi a favore della religione cristiana, sradicò dall’impero la crudeltà dei tiranni.”9.
Criticato nel Medioevo a causa della Donazione a papa Silvestro I, la fama di Costantino come grande imperatore e governante illuminato tornò a risplendere proprio negli anni successivi alla dimostrazione dell’inautenticità di tale documento (1440).
Interessante è notare come nell’esperienza riformata luterana la volontà di riscrivere la Storia alla luce della Riforma portò il gruppo dei Centuriatori di Magdeburgo10 a indagare, a partire dal V secolo, i rapporti tra potere ecclesiastico e potere imperiale. Guidati da Mattia Flacio Illirico (1520-1575) gli studiosi iniziarono a interrogarsi maggiormente sui poteri che l’imperatore avrebbe concesso al vescovo di Roma. Da un problema storico ne derivò uno di natura prettamente politica e teologica, cioè se il principe avesse effettivamente un’autorità in questioni religiose. La posizione presa dai Centuriatori fu quella proposta da Lutero: egli appoggiava l’idea che fosse l’imperatore ad avere il primato in ambito di affari ecclesiastici e che, sull’esempio di Costantino, avesse la possibilità – quando non il dovere – di convocare un Concilio senza l’aiuto di vescovi11.
Il trasferimento del seggio imperiale da Roma a Costantinopoli fu valutato da Lutero come un segno dell’ineluttabile fine di Roma. Egli, infatti, rifiutava il potere papale e il suo fondarsi su un documento ritenuto “a logica” falso e dimostrato come tale da Lorenzo Valla nel 1440: egli era perplesso da come tante persone si erano lasciate convincere “ad accettare menzogne simili, di per sé talmente rozze e goffe, che un contadino ubriaco sarebbe stato in grado di mentire con maggior accortezza e sagacia”12. Il riformatore costruì questo suo giudizio sulla lettura di una copia de La falsa donazione, pubblicata nel 1518 da Hutten e visionata a Wittenberg nel 152013. Tale lettura rafforzò nell’ex monaco il rifiuto del potere temporale del papa.
Scrisse, in una lettera del 24 febbraio 1520, all’umanista Spalatino (1484-1545): “Ho qui in mano l’edizione di Hutten de La falsa donazione di Costantino del Valla (…). Sono profondamente turbato, non ho alcun dubbio che il papa sia l’Anticristo, come lo concepisce anche l’opinione popolare; lo dimostra qualsiasi cosa faccia, viva, dica o sancisca”14. Lutero si meravigliava che menzogne tanto grandi avessero avuto un’eco che durava da secoli e che, essendo state inserite nelle decretali papali, avessero “preso il posto di articoli di fede”15.
In quello stesso anno ricorre alla Donazione, quando deve giustificarsi per aver bruciato la bolla di scomunica Exsurge Domine, dicendo chiaramente che “il papa sostiene e incoraggia questa menzogna, che Costantino gli abbia donato Roma, terre, impero e potere”16. L’assurdità della Donazione, legittimò Lutero a compiere un atto di protesta che si trasformò in un utile strumento di propaganda antipapale. Non a caso, insistette ancora sulla natura menzognera del Constitutum – divenuto un “articolo della fede papale” – quando ne pubblicò, nel 1537, la traduzione tedesca commentata.
Di conseguenza, dalla lettura dell’edizione Hutten, Lutero si rifece proprio a questo testo ogni volta in cui dovette sostenere la propria visione: quella che identificava nel papa l’Anticristo e che auspicava il ritorno di un nuovo Costantino, un imperatore difensore della Res publica christiana, che amministrasse la pace al suo interno, punendo le sedizioni, condannando la blasfemia e controllando le predicazioni – dando cioè egli stesso il potere di predicare a personaggi riconosciuti come autoritari tra gli studiosi della Parola17.
Nella formulazione di tali teorie, Lutero aveva sicuramente in mente le discordie prosperate nel movimento dei riformati sin dal principio, come la Guerra dei Contadini scoppiata nel 1524 e capeggiata da Thomas Müntzer (1489-1525), oppure le divergenze avute con Andrea Carlostadio (1480-1541) e la svolta radicale che egli voleva impremere alla Riforma. Proprio la carica radicale della predicazione di alcuni riformati spaventa Lutero: essi, mettendo in discussione la legittimità di tutti i poteri e tendando di sottrarsi alle autorità erano come “i ribelli, che attaccano sovrani e regni proprio come i ladri attaccano i beni gli assassini il corpo, gli adulteri le mogli dei loro simili; e ciò non è tollerabile.”18
Lutero, quindi, pur non riconoscendo la validità della Donazione – rifacendosi alle confutazioni filologico-scientifiche di questa per scagliarsi contro il potere temporale della Chiesa –, individua nel modello di governo costantiniano la forma migliore di controllo politico-religioso della società.
IV. Costantino e la falsa donazione agli occhi degli altri gruppi riformati
Per quanto riguarda le altre esperienze riformate si può individuare un punto in comune nel mancato riconoscimento della veridicità della Donazione. Lo studio del Valla, infatti, era stato letto nel 1520 anche da Huldrych Zwingli (1484-1525) e sicuramente da un giovane Giovanni Calvino (1509-1564), il quale nella sua Institutio religionis Christiana (1536) aveva definito la donazione “un racconto non solo favoloso, ma anche ridicolo”19.
Bisogna tenere ben presente che almeno nei casi delle Chiese territoriali e dei riformati radicali, il vero modello di organizzazione politico-religiosa non fu tanto quello costantiniano quanto quello evangelico.
Il tentativo di creare la Gerusalemme Celeste in Terra portò – con le dovute differenze – le Chiese ginevrina, zurighese e strasburghese20 a fare coincidere autorità politica e religiosa. Gli organi di controllo e organizzazione della vita cittadina seguirono, comunque, la tendenza a coniugare lavoro e spiritualità, riassumibile nell’attività “assistenziale” del singolo in favore della Chiesa, sul modello della proto-comunità cristiana di Gerusalemme.
Più problematico il caso dei riformati radicali: anabattisti e antitrinitaristi costituirono esperienze non sempre facilmente circoscrivibili, ma tutte “segnate da un atteggiamento anticostaniano, cioè dall’istanza di mantenere separati Chiesa e potere civile”21. Esperienza ancora diversa, nell’orizzonte radicale, è quella vissuta da alcune comunità anabattiste tedesche e olandesi che, unitesi, portarono alla fondazione, nel 1534 del Regno di Münster22, città-stato23 in cui la volontà di abbattere il potere politico portò, di fatto, all’istituzione di un altro regime, quello teocratico, in cui religione e politica coesistettero.
Infine, importantissima realtà risultò quella anglicana proprio perché la sua realizzazione fu quella che più si avvicinò al modello costantiniano. Infatti venne qui attribuito al potere politico un ruolo decisivo nella guida della Chiesa: con l’Atto di supremazia, del 1534, Enrico VIII Tudor “assunse il controllo de clero e la guida delle istituzioni ecclesiastiche come capo supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra”24. Interessante che, poco prima dell’Atto, “fu Thomas Cromwell (…) il committente della traduzione inglese dell’opera di Valla”25. Il monarca, tuttavia, ottenuto il controllo della Chiesa e autorizzata la traduzione della Bibbia in inglese, non provvide a modificare dottrine che avrebbero causato una rottura con il cattolicesimo sul piano teologico. La questione inglese, inoltre, risulta complicata per via di ulteriori scismi confessionali che si consumarono nello stesso Stato tra le compagini riformate, impegnate inoltre a soffocare focolai di reazione cattolica.
V. Conclusione
In conclusione si può, quindi, osservare come i riformati, luterani e non, basandosi sulla dimostrazione del Valla, considerarono il documento della Donazione di Costantino per quello che era in realtà: una falsificazione. Una falsificazione, tuttavia, che permise alla Chiesa di Roma, con i secoli, dapprima di imporsi sulle altre sedi apostoliche e vescovili e, in un secondo momento, di poter legittimare il proprio potere temporale.
A partire anche dalla dimostrata falsità del documento, i riformati si lanciarono nella critica alla Chiesa romana, volendo vivere un Cristianesimo di tipo “squisitamente umanistico che presupponeva l’accordo tra il profondissimo sentimento dei supremi valori dello spirito cristiano e l’adesione più amorosamente completa alla parola del Divino Maestro”26.
Per l’organizzazione della vita religiosa in relazione a quella politica, alcune correnti si rifecero all’epoca paleocristiana, quando le comunità dei fedeli vivevano “nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At. 2, 42-47)27; altre guardavano con malinconia agli anni in cui il pio28 imperatore Costantino decideva dell’organizzazione della Chiesa Universale, rimettendo nella mani dei pastori delle varie comunità solamente questioni di tipo dottrinario, discusse in sede conciliare.
Alessandro Luraghi