La cultura nell'ottocento

w V.E.R.D.I.: il teatro nel risorgimento

di Paolo Dinaro / pubblicato il 25 Luglio 2014
copertina TEATRO

Il termine teatro ha una strutturale polisemia che mantiene ancora ai nostri giorni. Con questo termine si fa riferimento in primo luogo all’edificio o complesso architettonico costruito e attrezzato per rappresentazioni sceniche e, per estensione, il luogo o l’ambiente dove si è svolto o si svolge un determinato fatto; ma anche quanto viene rappresentato sulle scene, quindi lo spettacolo, sia come singola rappresentazione teatrale, sia come genere di rappresentazione, oppure può definire l’insieme del pubblico che assiste alle rappresentazioni e con senso più ampio e comprensivo, l’attività, l’ambiente, il complesso delle persone che operano nello spettacolo teatrale. Questi significati poco si discostano da quelli riportati nel dizionario Tommaseo, citato nel saggio di Sorba.

Il Teatro alla Scala di Milano in una stampa ottocentesca

Il Teatro alla Scala di Milano in una stampa ottocentesca

In Italia, nell’Ottocento, il teatro è anche il luogo della sociabilità per eccellenza, come tale sentito e controllato dalle autorità, secondo Stendhal quasi un sostituto dei salotti. Le serate in teatro trascorrono tra conversazioni e saluti da un palchetto all’altro, diventando un luogo in cui mostrarsi. D’altra parte, il teatro può anche essere il luogo nel quale si manifesta l’arretratezza culturale del periodo, testimoniata dall’affermazione di Pindemonte nel suo Discorso sul teatro italiano del 1823:

“In Italia teatro vero, attori veri e veri spettacoli ancora non v’hanno […]. Si osserva mai ne’ nostri teatri quel profondo, universale silenzio che solo mostra il  vivo interesse che prendono nello spettacolo gli ascoltatori? […] gli italiani vanno al teatro per puro scherzevole passatempo […] considerato è il teatro dai più luogo di spasso, di bagordo, di distrazione.”1

Il “parterre attivo”, in altre parole l’abitudine del pubblico di interagire con lo spettacolo in scena, era così diffusa, da essere ritenuta come naturale dagli addetti ai lavori, così com’era ritenuta naturale la piena illuminazione della sala, il brusio delle molte conversazioni e molti spettatori in piedi in platea, un teatro, quindi lontano dalla nostra concezione, più simile ad un qualunque luogo d’incontro sorvegliato da agenti d’ordine che non riescono a limitare le esternazioni, ma, in caso di necessità, possono limitare i tumulti.

Il censimento fatto nel 1868, a pochi anni dall’unità d’Italia, da una rilevazione prefettizia, conta sul territorio del novello Regno 942 sale teatrali attive distribuite su 650 comuni, di questi circa due terzi erano stati costruiti dopo il 1815. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento ci fu un gran fervore costruttivo, attorno al quale si concentrarono le esigenze d’auto-rappresentazione delle comunità locali e le ambizioni d’eccellenza dei centri urbani. Tra i caratteri comuni definiscono la riconoscibilità del teatro, come edificio, si devono elencare la facciata monumentale, l’isolamento prospettico e la cura alle opere di decorazione esterne e interne, la struttura ad alveare, nata nel seicento diverrà in seguito un tratto peculiare del teatro; all’interno una forte articolazione degli ambienti che comprendeva oltre ai seggioloni mobili, spazi d’incontri come caffè, ridotti, salottini retro-palco. Il teatro è un ambiente polivalente, luogo d’incontro per la società e dunque importante per essa, il teatro generava diverse possibilità di profitto, «un locale commerciale dove tutto sente di bottega, tutto rimpicciolisce gli animi» 2

La sala all’italiana, si accompagna e corrisponde alla piena legittimazione, da parte delle autorità dei governi pre-unitari, del ruolo del teatro come occasione di ben sorvegliata sociabilità e vera e propria vetrina delle comunità locali. […] la struttura stessa della sala doveva consentire un’eccellente riproduzione topografica delle gerarchie della Restaurazione e pareva neutralizzare i rischi di della promiscuità sociale. (Sorba, 192.)

Doglio nel suo saggio, pone come all’origine del teatro risorgimentale, il teatro nato nel clima di esaltazione prodotta dall’avvento delle armate napoleoniche, che fu detto “giacobino”. Le opere maggiormente diffuse erano quelle d’Alfieri che

Offrì agli scrittori italiani l’esempio d’una drammaturgia nobilmente impegnata su temi d’alta idealità morale e civile, predisponendo gli animi ad accogliere un teatro che sarebbe diventato strumento di propaganda ideologica e politica. (Doglio, 1972, p.6)

Alle opere dell’Alfieri, che dopo il 1800 fu l’unica voce di libertà regolarmente ammessa sulle scene italiane, ma, nonostante questo le sue opere erano spesso censurate, si devono aggiungere messe in scene politiche e riprese classicheggianti rilette sotto una diversa luce, una corrente che diverrà dominante durante il periodo dell’impero francese. La fortuna di questo teatro fu rapida ed effimera, come la situazione politica da cui era scaturito. Questo teatro fu, però, innovativo in quanto ricordò agli scrittori che esisteva un modo diretto e immediato d’entrare in colloquio con il pubblico.

Il teatro e la censura

In seguito, con la Restaurazione in particolare, ma già nel periodo napoleonico i teatri e gli spettacoli teatrali furono fortemente controllati dalle autorità e spesso censurati.

Il generale Bonaparte patrocinò, fin dall’anno 1800, una politica ideologica e culturale assai moderata, vietando ogni espressione d’estremismo polemico di derivazione rivoluzionaria e favorendo un’arte, una produzione letteraria e drammatica compostamente classica e aulicamente cesarea: praticamente stroncò, anche in Italia, la rinascita d’un teatro polemico e satirico ispirato alla cronaca e alla tematica politica.3 (Doglio, 1972, p. 11)

Nuove correnti e influssi arrivano e si mescolano, e agli autori più classici nei titoli dei cartelloni e tra le nuove opere si rivelano influssi provenienti dalla Germania e dall’Inghilterra (si traduce Shakespeare e si legge Goethe) e sempre più importanza acquista il medioevo. La prima opere di questo tipo fu la Francesca da Rimini di Pellico, un dramma allusivamente patriottico per la rappresentazione di figure della nostra storia nazionale. A quest’opera ne seguiranno altre, con riferimenti a personaggi o eventi della storia nazionale, prime tra tutte, il Conte di Carmagnola e l’Adelchi di Manzoni, che subisce pesanti censure (il caso del III coro dell’Adelchi).

Il problema della censura era molto diffuso, tanto da portare nel teatro di prosa una vera e propria crisi produttiva; i drammi erano composti e messi in scena a molti anni di distanza, spesso proibiti dopo la prima messa in scena. A causa della censura i temi si spostarono e si i drammi storici e letterari vengono scelti per alludere a fatti e persone contemporanee. La pubblicazione e la messa in scena di queste piece possono essere lette come lo specchio della vita degli autori, costretti a vivere in esilio in paesi ospitali. Nei cartelloni e nei repertori a lungo non ci sono state opere che potevano anche solo alludere agli eventi del tempo.

Si diffondono drammi romanzeschi, che coinvolgono personaggi foschi, crudeli e patetici. Il pubblico, intanto, attendeva e si entusiasmava per riprese d’opere di Pindemonte. Le critiche arrivarono già dai contemporanei; Mazzini ne criticava l’astrattezza tematica e l’indeterminatezza concettuale e riteneva la rappresentazione di fatti passati “inferiore al bisogno dei tempi”. A fare da contro altare a Mazzini, in molti preferivano drammi cupi e dal ritmo serrato, basati su personaggi della letteratura, possibilmente da Dante, ritenuto una voce d’italianità.

Si trattava di una vera e propria crisi del genere drammatico: ormai sopraffatta la tragedia dalla fortuna del nuovo dramma romantico, lanciata da Victor Hugo, incerta la commedia fra la linea degli epigoni goldoniani e quella dei primi timidi autori di testi ispirati al costume sociale […]. Il teatro appariva impotente, incapace di partecipare alla grande battaglia politica ed ideologica che filosofi e, come Gioberti, Rosmini, storici e pubblicisti come Mazzin, Amari, Balbo, e D’Azeglio da diverse posizioni conducevano, nell’intento di indicare soluzioni possibili al problema dell’indipendenza nazionale, fattivamente operando, al tempo stesso, per educare l’opinione pubblica italiana e predisporla ad un intervento diretto. (Doglio, 1972, p. 26 – 27.)

Giuseppe Verdi

ritratto di Giuseppe Verdi

Il genere che provocava scalpore e riusciva a portare su di un palco opere dal testo allusivamente patriottico era quello melodrammatico, in particolare le opere di Verdi; grazie a lui e alle sue opere si sollevarono alcune proteste di piazza. Verdi era ormai divenuto nella coscienza di molti un liberale le cui opere erano cantate e spesso modificate, in particolare i cori, per rendere esplicito il testo, altrimenti, allusivo. 4

I censori, ai quali non si può certamente negare, in questo caso, finezza e acume, lo bersagliano proprio perché capiscono che i suoi personaggi e le situazioni dei suoi drammi, anche nel travestimento scenico, hanno lo stato privilegiato del melodramma e diventano un manifesto progressivo e militante. […] Comprensibile è dunque l’accanimento della censura sui drammi verdini, vessilli indiscutibili delle passioni risorgimentali per il ruolo di «doppio» che gli entusiasmi popolari assegnano ai personaggi delle opere del maestro di Busseto. (Azzaroni, 1981, p. 73)

Il timore dei legislatori, e non solo in Italia, è evidente. «A teatro, il pensiero, l’ispirazione del poeta si rivolgono contemporaneamente ad una moltitudine di uditori. Nel silenzio del gabinetto, lo scritto, in generale, non agisce che moderatamente sullo spirito di chi legge: passeggera è l’impressione, lieve l’influenza; un uomo solo, difficilmente si esalta alla lettura di un libello o di un dramma. Ma la rappresentazione dà sembianza e corpo ad ogni pensiero. (Azzaroni, 1981, p. 60)

In Italia esistono tante censure quanti sono gli Stati pre-unitari. Una regolamentazione unica verrà compiuta appena dopo l’Unità, con il regio decreto del 14 gennaio che promulga le disposizioni in materia di censura delle opere drammatiche e delega ai prefetti la facoltà di permettere le rappresentazioni nelle rispettive province.

Fino al 1864:

Ogni nuova produzione va sottoposta all’approvazione dell’autorità politica del luogo ove si rappresenta, che può autorizzare o vietare la rappresentazione, modificare qualche situazione e sopprimere frasi d’accordo (più o meno!) con l’autore; da ciò deriva che uno spettacolo permesso in una città è vietato nell’altra. La censura è di due tipi: civile e religiosa. (Azzaroni, 1981, p. 61.)

Questa legge chiuderà la parabola del teatro risorgimentale. Già prima dell’unità d’Italia molte delle opere nate dall’onda degli avvenimenti non saranno più messe in scena, poiché considerate come opere «di circostanza», relative a fatti o personaggi politici, soggette anche queste a censura, come tutte le opere che s’ispiravano a Garibaldi nate intorno al 1859 sono vietate per inopportunità politica o perché portano in scena personaggi viventi o fatti attuali. Il teatro venne  investito di un messaggio politico ufficiale e caricato delle aspettative e delle speranze degli stessi che combattevano e si definivano patrioti e che volevano rendere l’Italia «superba nell’arti e temuta nei campi»

Paolo Dinaro

w V.E.R.D.I.: il teatro nel risorgimento ultima modidfica: 2014-07-25T16:06:03+02:00 da Paolo Dinaro

Riferimenti e citazioni

  1. La citazione su riportata è ripresa dal saggio di C. Sorba, Teatro. P.188
  2. La citazione su riportata è ripresa dal saggio di C. Sorba, Teatro. P.192
  3. In Italia la legge è del 17 luglio 1806
  4.  Esemplari sono il coro di Nabucco, “Va pensiero su ali d’orate”,il coro de I lombardi alla prima crociata, “Signore, dal suolo natio” e il coro de Ernani, “si ridesti il leon di Castiglia”, quest’ultimo in particolare così modificato “si ridesti il leon di Caprera/d’Italia ogni monte ogni lido […] A Pio nono sia gloria ed onor”.

Bibliografia

G. Azzaroni, Del teatro d Dintorni. Roma, editore Bulzoni, 1981.

F. Doglio, Teatro e risorgimento. Bologna : Cappelli Ed., 1972.

C. Sorba, Teatro, in A. M. Banti (a cura di) Atlante culturale del Risorgimento. Bari, editori Laterza, 2011

Sitografia

www.treccani.it/vocabolario/teatro

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