Questo articolo tratta della rappresentazione della sconfitta dell’Asse nella memoria collettiva, a proposito di manipolazioni del passato 1 . Analogamente si pensi a miti apparentemente ‘immortali’ come quello del “bravo italiano”, a loro volta sfatati appunto dal trascorrere del tempo ma destinati comunque a lasciare segni che paiono indelebili 2 . Del resto, come detto più volte durante le lezioni, la memoria sembra ‘statica’ (“irripetibile”, come definisce Marc Bloch i ricordi) ma è labile e variabile secondo l’epoca (pensiero di Benedetto Croce: la Storia è contemporanea ai periodi in cui viene studiata) 3 . Come spesso si sottolinea, bisogna allora considerare le origini di determinati ‘ topoi ’ e confrontarli con la realtà. Si tratta di concetti riguardanti la storiografia in generale, non solo sul mondo contemporaneo; come ribadito più volte in varie lezioni di Storia, perfino i falsi hanno infatti valore, perché si può leggere fra le righe i motivi della falsificazione . In breve, come ribadito in più lezioni di Storia, la storiografia ha parametri fondamentali: contesto geopolitico, epoca, punti di vista.
Tornando allo specifico della memoria (cinematografica in particolare) del conflitto mondiale in rapporto alla storiografia, incluse le questioni postbelliche, va precisato che parlare di vittorie e sconfitte comporta andare ben oltre l’ambito prettamente politico e militare. Storiografia e filmografia che saranno il nostro focus-dagli anni Sessanta agli anni Ottanta-appaiono emblematiche in tal senso: forte è la disillusione nei riguardi degli ideali ‘ricostruttivi’, soprattutto sull’onda del Sessantotto. E’ il caso di film come Ci eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola, o Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci. Il primo dei due film menzionati, in particolare, pare anticipare le disillusioni del decennio successivo, quando si sfocia nella memoria secondo “i vinti”, per citare il titolo dell’ultimo capitolo del segnalato La memoria inquieta. Cinema e resistenza (Giuseppe Chigi, 2009). Pare quindi che negli anni Settanta, quando si avvicina “la frana” (citando il titolo dell’ultima parte de Il secolo breve. 1914-1991 di Eric Hobsbawn), sussista tenace la memoria ideologica del mito resistenziale. Quest’ultimo però sembra incrinarsi già prima del crollo del Muro. A dimostrazione del tutto, sarebbe utile una carrellata di film usciti in vari decenni postbellici, pur privilegiando come focus gli anni Settanta. Un primo esempio significativo sul clima di allora è rappresentato da ossimori espressi nel film Ci eravamo tanto amati: «Finita la guerra, scoppiò il dopoguerra», e «La pace ci divise», ambo a proposito di tensioni tali da travalicare i confini bellici cronologici, quindi riguardo alle già citate ‘sconfitte’ e ‘vittorie’ non solo militari. Gli anni della “Grande distensione” (1969-1979) sono infatti un’epoca di transizione: il periodo è inaugurato e concluso da incisivi terremoti (l’ “Autunno caldo” nel 1969, il “Grande riflusso” nel 1978), all’insegna di tentativi di stabilizzazione (la “Diplomazia triangolare nel 1972, Camp David nel 1978). Allora si tentano massificazione e idealizzazione della memoria, che però è demistificata (“Grande riflusso”) agli albori dell’ultimo decennio di Guerra fredda.
LE PRINCIPALI FASI DEL CINEMA POSTBELLICO. LA PECULIARITA’ DEGLI ANNI ’70 4
– 1945-1947: Neorealismo, come in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini. E’ un primo passaggio dalla cronaca alla Storia. Inizia la “Ricostruzione” all’insegna del piano Marshall (1947), che fa da sfondo per una sorta di ricostruzione cinematografica della guerra.
– 1948-1957: la “Commedia rosa” predomina, e la memoria cede il posto a questa. Tutto sommato al contrario dei precedenti anni, in buona parte degli anni Cinquanta si preferisce una mera damnatio memoriae. Ciò è legato alla geopolitica coeva e alla psicologia collettiva. Sono infatti gli anni del ‘congelarsi’ della Guerra fredda, che infatti è assestata dal consolidamento interno a ogni Blocco: la prima crisi di Berlino (1948); il “Patto atlantico” (1949), base della NATO, cui i Sovietici rispondono col “Patto di Varsavia” (1955); la “perdita” della Cina (1949); la guerra di Corea (1950-1953), che alimenta l’anticomunismo e la paura nei confronti dell’URSS, come si vede dal coevo “maccartismo”; le prima avvisaglie della guerra del Vietnam (1945-1975); le epurazioni sovietiche in Ungheria e Polonia (1956); la crisi di Suez (1956); i primi tentativi nell’Ovest europeo di interazione e compattazione, mediante la CECA (1953) che è base della CEE (1957). Numerose, non a caso, sono le produzioni fantascientifiche, alimentate dalla paura per un conflitto nucleare sentito come imminente.
– 1959-1965: proliferazione dei film sui problemi postbellici. Essi includono Il generale Della Rovere (1959) di Vittorio De Sica e La lunga notte del ’43 (1960) di Florestano Vancini. E’ il periodo del “Disgelo”: la “destalinizzazione” (1956-1964); il TNP (1963); il “baby boom” con radici pregresse; il culmine della “decolonizzazione” (1962); la seconda crisi di Berlino e quella di Cuba, ambo di quest’ultimo anno; Martin Luther King (1964). Lo sfondo è costituito da grandi trasformazioni, accompagnate da crisi tali da spingere a cercarne le radici nel dopoguerra, e quindi si rinnovano i tentativi di assestamento poi sanciti con il Muro.
– 1965-1970: per la prima volta, compare la categoria “guerra civile” nei film, approfondendosi la ‘storiografia’ sopra vista. E’ un periodo in cui il cinema anticipa il dibattito storiografico, quando invece di solito sono i film a recepire i dibattiti. Per la prima volta in Italia i protagonisti non sono i Tedeschi, ma i Repubblicani di Salò. Esempio significativo è Corbari (1970) di Valentino Orsini. Vi si percepisce il clima del Sessantotto: memoria della Resistenza, rivolte studentesche e tumulti operai paiono amalgamarsi, dando vita a enfasi tali da rafforzare paradigmi all’insegna della libertà e della ribellione. E’ la non lineare epoca dei primi segnali della “Distensione” nel mondo (che, come già detto, è preceduta e seguita da grandi svolte): la ‘nascita’ della Globalizzazione negli studi (McLuhan, 1964); la “Guerra dei sei giorni” (1967); la “Primavera di Praga”,-repressa dalla “dottrina Brežnev”-coeva alla “Rivoluzione culturale” e all’offensiva del Thet (1968); lo sbarco sulla Luna (1969); il “Settembre nero”, lo stesso anno dell’affermarsi di Salvador Allende (1970). In questo periodo, come specie nel decennio dopo, il cinema è mitizzato come arma politica propagandistica e ideologicamente connotata.
– 1970-1980: sull’onda del Sessantotto, si accresce il clima sopra visto, tanto da venir soprannominato «seconda resistenza» (Giorgio Trentin, regista) 5 . Ricordiamo in particolare: Anno uno (1974) di Roberto Rossellini; i già citati C’eravamo tanto amati di Scola e Novecento di Bertolucci; L’Agnase va a morire (1976) di Giuliano Montaldo; come appendice dell’epoca precedente il “Riflusso”,La notte di San Lorenzo (1982) di Emilio e Paolo Taviani (1982). E’ un decennio di idealismi e disillusioni. La ricordata “Distensione” prosegue scandita-a parte che dalla diplomazia trattata nell’ “Introduzione”-da cambiamenti planetari: la fine degli accordi di Bretton Woods (1971); la guerra del Kippur (1972); la “stagflazione”, coeva all’ascesa di Pinochet (1973); la presa di Saigon, coeva alla “Rivoluzione dei Garofani” e alla morte di Franco (1975); la morte di Mao (1976); l’avvento di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005); l’ayatollah, in contemporanea alla caduta di Somoza (1979); le Brigate rosse (1970-1985). Come si intravede dal citato Anno uno, l’idealizzazione dei tentativi di cooperazione fra i partiti del CLN sembra agiografica, specie la figura di De Gasperi che in questo film è protagonista.
Gli anni Settanta possono definirsi, in breve, anni di transizione perché nei film si mescolano idealizzazione e semplice denotazione. Infatti nel primo caso si tenta la massimizzazione del cinema come politicamente impegnato all’insegna del marxismo (la Resistenza come lotta di classe, non solo come secondo Risorgimento); nel secondo caso invece, anticipando il punto di vista degli sconfitti del ’45 che caratterizzerà gli ultimi due decenni del secolo, si moltiplicano i soggetti comprendendo ad esempio la donna. Si rivela allora il nesso fra cinema della Resistenza e clima influenzato dal ’68: si pensi al legame tra figure femminili della lotta partigiana e rivolte femministe 6 .
– 1980-1991: col venir meno della Guerra fredda, conclusa nel 1989 dal crollo del Muro e nel 1991 dalla fine dell’URSS, nonché alle soglie di Tangentopoli, le mitizzazioni della Resistenza sopra viste cedono il posto a una maggior obiettività nella storiografia e nel cinema, fino a comprendere il punto di vista dei vinti del 1945 (l’Asse) 7 . I film includono: Dalla nube alla Resistenza (1980) di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Uomini e no-dello stesso anno-di Orsini, Una questione privata (1982) di Alessandro Cane, e Il caso Martello (1991) di Guido Chiesa. Sotto il vessillo del Neoliberismo, inaugurato dalla Thatcher e da Reagan nel 1979, diverse tappe segnano il “Riflusso”: il riarmo; il miracolo asiatico; l’intervento dell’URSS in Afghanistan (1979-1989); i contras (1979-1986); il conflitto fra Iran e Iraq (1980-1988), cui segue la prima “guerra del Golfo” (1991); la questione degli ostaggi americani in Iran (1980); la fine (1982) del regime militare argentino, stesso anni delle stragi di Sabra e Shatila; la perestrojka e la glasnost sotto Gorbačëv (1985-1991); Chernobyl (1986); il tracollo della Borsa di New York (1987). Si tratta di cambiamenti planetari, tali da influenzare la mentalità collettiva che fa da sfondo al cinema. Infatti le disillusioni, successive alle speranze del decennio precedente, spingono a sminuire le connotazioni ideologiche a vantaggio di caratteri più denotativi.
– 1991-2000: finisce il bipolarismo, quindi nei film si rafforza l’obiettività includendo pure la memoria degli sconfitti. Non c’è però un carattere meramente denotativo, come si deduce dall’intensificarsi del revisionismo. La produzione include Il caso Martello (1991) nonchè, più recenti, Il sangue dei vinti (2008) di Michele Soave e L’uomo che verrà (2009) di Giorgio diritti. Il penultimo film citato è un caso di proliferazione di fiction, in un’epoca in cui televisione e potenziali revisionismi nell’opinione pubblica hanno notevole impatto. Ai giorni nostri, del resto, all’insegna della Globalizzazione si moltiplicano racconti e testimonianze, quindi la loro maggiore ‘democratizzazione’ determina, come già detto, una più alta potenzialità di revisionismo nonchè di una più marcata diversificazione di idee e opinioni.
IL CINEMA ITALIANO DELLA “GRANDE DISTENSIONE” FRA ILLUSIONI E REALTA’
Come anticipato, l’arco fra il Sessantotto e l’alba degli anni Ottanta sono una sorta di crocevia tra speranze e disillusioni, rispettivamente la lotta partigiana alla luce del presente (la speranza per una rivoluzione marxista) e un maggior tentativo di obiettività, che si vede ad esempio nella moltiplicazione delle figure mostrate, quali i Repubblichini o le “partigiane” 8 .
Una famosa figura cinematografica di partigiana di questo decennio è l’Agnese va a morire (1976) 9 : la protagonista pare vestire il duplice ruolo di donna ‘all’ antica’, cioè legata all’ambito domestico e familiare, e di figura invece combattente in proprio. Una figura in qualche modo sospesa fra presente e passato, emblematica di quest’epoca di transizione.
Nelle scene iniziali di Novecento Leonida, ragazzino partigiano, entra armato nella stalla del proprietario terriero Alfredo e lo costringe a prendere il posto di un vitello. E’ un retaggio dell’hegeliana dialettica servo/padrone ripresa da Marx nel 1848, come dimostra specie una frase di Leonida: «Non ci sono più padroni!» 10 . In questo film di Bertolucci le leggibili speranze per il presente e anche per il futuro sembrano trovare uno spazio ma anche un epilogo: infatti alla fine del film i membri del CLN requisiscono le armi ai contadini e la speranza di una rivoluzione sfuma.
Questo epilogo delle speranze si verifica già all’inizio degli anni Settanta, come si vede ad esempio in Corbari del 1970; infatti l’omonimo protagonista, con la sua ripetuta frase «Voglio di più», si collega alle proteste sessantottine contro il neorealismo fino ad allora dominante, ritenuto non abbastanza rivoluzionario. Nel film la ribellione del protagonista soccombe; tuttavia, prima del “Grande riflusso”, l’enfasi data agli obiettivi dei ribelli pare inarrestabile. Così scrive Chigi parlando del personaggio Corbari:
la lotta resistenziale non è contro i tedeschi, accidente della storia, ma contro i padroni che armano e foraggiano i fascisti e affamano i contadini […]. La resistenza è rivoluzione proletaria, altro che “secondo risorgimento”, perché il Corbari cinematografico è figlio della cultura politica sessantottina 11.
Simile contrasto fra realtà e illusione è rappresentato in Ci eravamo tanto amati, in cui addirittura idealizzazione e denotazione sono vistosamente diversi mediante la raffigurazione in bianco e nero delle sequenze (flashback) di epoca della giovinezza e lotta partigiana. Quest’ultima è allora marcata come passato cui guardare nostalgicamente, elemento rafforzato dalle arie musicali della Resistenza in sottofondo. Il film è in realtà molto complesso e ho dovuto vederlo una seconda volta per rendermi conto che il regista gioca ironicamente con il genere della commedia, che sembra voler costruire, e che ci sono tantissime citazioni meta-cinematografiche, a metà tra storia raccontata e cinema raccontato (incontro con i registi reali, con Mike Buongiorno in Lascio e raddoppia; riprese della Dolce vita, visione di film fra cui Ladri di biciclette, ecc.).
Grande influenza del presente sul passato è riscontrabile anche all’indomani della “Distensione”, precisamente ne La notte di San Lorenzo (1982) di Emilio e Paolo Taviani 12 . Qui infatti la protagonista, che narra il proprio passato al figlioletto per farlo dormire, ricorda in un flashback scene di guerra filtrate attraverso l’immaginario infantile, di cui nelle scene iniziali sono esempio le raffiche di armi da fuoco visualizzate da lei come lance scagliate dai Galli. Va però precisato che, coerentemente con un’epoca di tramonto come la vigilia del “Riflusso”, in questo caso l’influenza del presente sul passato non è tanto ideologica quanto ‘narrativa’ dal punto di vista connotativo (rappresentato non più da idee marxiste o patriottiche, ma ‘personali’). Gli anni Settanta lasciano comunque un’influenza sugli anni seguenti, poiché si consolida il moltiplicarsi di figure e temi rappresentati (donne, bambini, Repubblichini, contrasti in seno al CLN…): i partigiani dopo la “Distensione” non sono più visti in modo così agiografico, ma più obbiettivo.
Alla luce di quanto esposto sugli anni Settanta, oltre che esaminate continuità e discontinuità rispetto ai decenni confinanti, si può affermare che il cinema italiano sotto la bandiera sessantottina, nonostante le critiche di allora nei confronti del Neorealismo postbellico giudicato frivolo, proprio da tale bersaglio prende le mosse (l’obiettività) anticipando di fatto-magari inconsapevolmente-il “Grande riflusso” (l’ampliamento dei soggetti cinematografici anche attualizzati, verificatosi negli anni Settanta, è rafforzato negli anni Ottanta). La peculiarità degli anni Settanta nella cinematografia della Resistenza consiste nell’essere un crocevia di diverse mentalità storiografiche e memorialistiche.
A proposito di “Riflusso”, concludo dicendo che perfino un Neorealista come Vittorio De Sica ha potuto dirigere un film intimista e ai limiti del melodrammatico come Il giardino dei Finzi Contini (1970).
Mario Brandolini
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